2008-06-14 14:35:04

Incertezza nell'UE dopo il 'no' dell'Irlanda al Trattato di Lisbona


Gli irlandesi, poco meno dell'1% della popolazione europea, hanno bocciato con il referendum di ieri il Trattato di Lisbona, pensato per far funzionare meglio l'Unione Europea, gettando l'intera comunità in una fase di profonda incertezza. Da parte sua il premier sloveno Janez Janza, ricorda oggi che il Trattato è già stato ratificato da 18 Paesi e che tutti i leader dei Paesi che rimangono sono determinati nel continuare il processo di ratifica. Il servizio di Fausta Speranza RealAudioMP3


Il futuro verrà discusso al vertice dei capi di Stato e di governo, che inizia giovedì a Bruxelles. Dunque i primi giorni della settimana saranno davvero bollenti di trattative. Sorpresa e disorientamento nelle capitali europee per il no referendario dell’Irlanda al Trattato di Lisbona. Ma anche tanti commenti fortemente decisi ad andare avanti, a partire dal ministro degli Esteri italiano Frattini che dice: 'Trasformiamo la sorpresa, il rammarico, ed i fiumi d'inchiostro sulla presunta 'morte' del Trattato di Lisbona, in uno slancio nuovo''. Per il cancelliere tedesco Angela Merkel ''l'Unione Europea non è in crisi, nonostante il duro colpo". Anche dal Foreign Office britannico proposito positivo: ''La Gran Bretagna – si dice - andra' avanti con la ratifica del Trattato a dispetto della bocciatura irlandese''. Nella storia dell’Europa su 10 referendum 6 hanno segnato sconfitte. Per gli irlandesi è il secondo no: nel 2001 avevano bocciato il Trattato di Nizza per poi approvarlo con un secondo referendum l’anno seguente. Più danno nel 2005 dopo il no di Francia e Olanda alla Costituzione: ci sono voluti più di due anni di riflessione per proporre il nuovo testo firmato a Lisbona lo scorso dicembre.

Per capire cosa comporti il ‘no’ e da quali problematiche scaturisce, Luca Collodi ha intervistato Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo:RealAudioMP3


R. - A mio avviso, è un no dato al deficit della democrazia degli attuali assetti dell’Unione Europea. E’ un no che, in qualche modo, è il completamento di un percorso di distorsione del progetto dei padri fondatori che ha pesantemente segnato l’Unione Europea della tecnocrazia di questi ultimi 25-30 anni.

D.- La sensazione, è però che il no dell’Irlanda confermi un distacco tra l’Unione Europea e la gente comune...

R. – E’ un dato di fatto che, mentre all’inizio c’era un programma politico breve ma molto coeso, e cioè il giudizio di Schuman e di Adenauer, per cui ‘ciò che ci unisce è più forte di ciò che divide’, poi nel nel tempo gli Stati hanno messo in evidenza la convenienza, invece, di ciò che divide. E questo, ha dirottato l’esistenza e la funzionalità delle istituzioni europee sul superfluo; siamo arrivati quindi al quasi ridicolo discutendo sulle dimensioni di zucchine e cocomeri. Questo dà un po’ il senso del bene che è stato smarrito o sprecato in questa circostanza. Quello che mi aspetto è, diciamo, un ulteriore raffreddamento della sensibilità nei confronti delle istituzioni europee, in vista delle prossime elezioni, e questo, credo, chiede ai protagonisti delle istituzioni, particolarmente ai capi di Stato e di governo, di essere coraggiosi in questo momento, di venire allo scoperto e di dire: “Ci interessa l’Europa, o vogliamo che sia semplicemente un sistema di relazioni economiche?" In questo caso togliamo anche parte di ciò di cui oggi si occupa e lasciamo che viva sotto la forma del mercato. Se invece ci interessa come progetto originale di integrazione politica, allora bisogna affrontare, prendere il toro per le corna e decidere se l’Europa merita di avere una sua politica estera, merita di avere un suo esercito per una politica di difesa comune; merita insomma di trasferire quelle competenze che, sole, fanno una vera e propria istituzione sopranazionale, fare insomma veramente gli Stati Uniti d’Europa.

D. – L’aver rinunciato alle radici cristiane dell’Europa ha facilitato il precipitare della situazione dell’Unione Europea?

R. – Questo senza dubbio: ecco, il problema di fondo è in che cosa l’Europa crede, perché non c’è la pace in genere, non c’è lo sviluppo in genere, le cose non si fanno a caso. E’ un’Europa per la quale tutte le soluzioni erano poi sullo stesso piano, dove tutto si reputa possa essere plausibile; parliamo proprio della natura e del valore delle cose, e quindi una certa idea di famiglia, una certa idea di società, una certa idea della vita. Questo, inevitabilmente, ha finito col creare una cortina, un velo che si è insinuato tra i cittadini e l’affermazione di questo grande ideale che –voglio far notare- non è ideale solo dei padri fondatori: è ideale che è nella storia dei nostri popoli, della nostra gente, dalla notte dei tempi.







All the contents on this site are copyrighted ©.