Incertezza nell'UE dopo il 'no' dell'Irlanda al Trattato di Lisbona
Gli irlandesi, poco meno dell'1% della popolazione europea, hanno bocciato con il
referendum di ieri il Trattato di Lisbona, pensato per far funzionare meglio l'Unione
Europea, gettando l'intera comunità in una fase di profonda incertezza. Da parte sua
il premier sloveno Janez Janza, ricorda oggi che il Trattato è già stato ratificato
da 18 Paesi e che tutti i leader dei Paesi che rimangono sono determinati nel continuare
il processo di ratifica. Il servizio di Fausta Speranza
Il
futuro verrà discusso al vertice dei capi di Stato e di governo, che inizia giovedì
a Bruxelles. Dunque i primi giorni della settimana saranno davvero bollenti di trattative.
Sorpresa e disorientamento nelle capitali europee per il no referendario dell’Irlanda
al Trattato di Lisbona. Ma anche tanti commenti fortemente decisi ad andare avanti,
a partire dal ministro degli Esteri italiano Frattini che dice: 'Trasformiamo la sorpresa,
il rammarico, ed i fiumi d'inchiostro sulla presunta 'morte' del Trattato di Lisbona,
in uno slancio nuovo''. Per il cancelliere tedesco Angela Merkel ''l'Unione Europea
non è in crisi, nonostante il duro colpo". Anche dal Foreign Office britannico proposito
positivo: ''La Gran Bretagna – si dice - andra' avanti con la ratifica del Trattato
a dispetto della bocciatura irlandese''. Nella storia dell’Europa su 10 referendum
6 hanno segnato sconfitte. Per gli irlandesi è il secondo no: nel 2001 avevano bocciato
il Trattato di Nizza per poi approvarlo con un secondo referendum l’anno seguente.
Più danno nel 2005 dopo il no di Francia e Olanda alla Costituzione: ci sono voluti
più di due anni di riflessione per proporre il nuovo testo firmato a Lisbona lo scorso
dicembre.
Per capire cosa comporti il ‘no’ e da quali problematiche scaturisce,
Luca Collodi ha intervistato Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento
Europeo:
R. -
A mio avviso, è un no dato al deficit della democrazia degli attuali assetti dell’Unione
Europea. E’ un no che, in qualche modo, è il completamento di un percorso di distorsione
del progetto dei padri fondatori che ha pesantemente segnato l’Unione Europea della
tecnocrazia di questi ultimi 25-30 anni.
D.- La sensazione, è però che
il no dell’Irlanda confermi un distacco tra l’Unione Europea e la gente comune...
R.
– E’ un dato di fatto che, mentre all’inizio c’era un programma politico breve ma
molto coeso, e cioè il giudizio di Schuman e di Adenauer, per cui ‘ciò che ci unisce
è più forte di ciò che divide’, poi nel nel tempo gli Stati hanno messo in evidenza
la convenienza, invece, di ciò che divide. E questo, ha dirottato l’esistenza e la
funzionalità delle istituzioni europee sul superfluo; siamo arrivati quindi al quasi
ridicolo discutendo sulle dimensioni di zucchine e cocomeri. Questo dà un po’ il senso
del bene che è stato smarrito o sprecato in questa circostanza. Quello che mi aspetto
è, diciamo, un ulteriore raffreddamento della sensibilità nei confronti delle istituzioni
europee, in vista delle prossime elezioni, e questo, credo, chiede ai protagonisti
delle istituzioni, particolarmente ai capi di Stato e di governo, di essere coraggiosi
in questo momento, di venire allo scoperto e di dire: “Ci interessa l’Europa, o vogliamo
che sia semplicemente un sistema di relazioni economiche?" In questo caso togliamo
anche parte di ciò di cui oggi si occupa e lasciamo che viva sotto la forma del mercato.
Se invece ci interessa come progetto originale di integrazione politica, allora bisogna
affrontare, prendere il toro per le corna e decidere se l’Europa merita di avere una
sua politica estera, merita di avere un suo esercito per una politica di difesa comune;
merita insomma di trasferire quelle competenze che, sole, fanno una vera e propria
istituzione sopranazionale, fare insomma veramente gli Stati Uniti d’Europa.
D.
– L’aver rinunciato alle radici cristiane dell’Europa ha facilitato il precipitare
della situazione dell’Unione Europea?
R. – Questo senza dubbio: ecco,
il problema di fondo è in che cosa l’Europa crede, perché non c’è la pace in genere,
non c’è lo sviluppo in genere, le cose non si fanno a caso. E’ un’Europa per la quale
tutte le soluzioni erano poi sullo stesso piano, dove tutto si reputa possa essere
plausibile; parliamo proprio della natura e del valore delle cose, e quindi una certa
idea di famiglia, una certa idea di società, una certa idea della vita. Questo, inevitabilmente,
ha finito col creare una cortina, un velo che si è insinuato tra i cittadini e l’affermazione
di questo grande ideale che –voglio far notare- non è ideale solo dei padri fondatori:
è ideale che è nella storia dei nostri popoli, della nostra gente, dalla notte dei
tempi.