2008-10-11 14:50:53

Benedetto XVI proclamerà domani 4 nuovi Santi: una laica ecuadoriana, una religiosa svizzera, un sacerdote napoletano e una clarissa del Kerala, prima Santa dell'India


Settecento sacerdoti, numerosi vescovi, duemila religiose e quattromila fedeli: sono i numeri dell’imponente presenza che, dallo Stato indiano del Kerala e da altri Stati del Paese asiatico, si è mobilitata per essere domani in Piazza San Pietro alla Messa di canonizzazione della prima Santa indiana, la francescana clarissa Alfonsa dell'Immacolata Concezione. A presiedere il rito, con inizio alle ore 10, sarà Benedetto XVI, che proclamerà Santi anche il sacerdote napoletano, Gaetano Errico, la religiosa svizzera, Maria Bernarda Verena Bùtler, e la laica ecuadoriana, Narcisa di Gesù Martillo y Moràn. Alessandro De Carolis racconta le vicende della Beata Alfonsa e del Beato Errico in questa scheda:RealAudioMP3

La vicenda di Alfonsa dell'Immacolata Concezione inizia nello Stato indiano del Kerala, dove nasce nell’agosto del 1910. Orfana, rimane molto presto affascinata dalla vita religiosa ma i suoi parenti hanno altri progetti e la costringono al matrimonio. Anna Muttathupadathu, questo il suo nome, si sottrae con la forza all’imposizione e riesce a farsi ammettere fra le Clarisse Malabaresi. La salute malferma le impone grandi sofferenze, che suor Alfonsa patisce senza lamentele. Nella sua sofferenza diceva: “Io sento che il Signore mi ha destinata ad essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Il giorno in cui non ho sofferto è un giorno perduto per me”. Muore nel 1946, a 36 anni. Si spegne la sua breve esistenza di religiosa ma non la fama di santità che l’accompagna e che dilaga in modo impressionante dopo la sua morte. Nel 1986, Giovanni Paolo II la proclama Beata, la prima dell’India, e domani ne diverrà la prima Santa, al cospetto di una numerosissima rappresentanza - almeno 7 mila tra clero, suore e fedeli attesi in Piazza San Pietro - che a sua volta non è che una piccola parte di quell’oceano di pellegrini che, anche in queste ore a migliaia, ogni anno si recano sulla sua tomba per pregare e chiedere grazie: cattolici ma anche musulmani e induisti, attratti dalla purezza della sua giovane vita tanto sofferta e dal suo potere taumaturgico.

 
All’inizio dell’Ottocento si colloca invece la storia del nuovo Santo italiano, Gateano Errico. Gaetano non può pagarsi gli studi di sacerdote perché lui, povero figlio di un maccaronaio alla periferia nord di Napoli, non ha i soldi per onorare la retta. Riesce più tardi a farsi ammettere al Seminario che, da casa sua, dista 16 chilometri, andata e ritorno: il giovane li percorre a piedi ogni giorno, portando al servizio della Chiesa una mente brillantissima e una grande conoscenza dell’animo umano. Si segnala presto per la grande capacità di amore verso i malati e i poveri e per le sue non comuni doti di confessore. Combatte contro l'opera scristianizzante delle "sette" e per questo lo picchiano e attentano alla sua vita, senza intimorirlo. Nel 1833, fonda la Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Muore nella sua città, Napoli, nel 1860. Ecco come ne ricorda l’opera il postulatore della Causa di canonizzazione, padre Luigi Toscano, intervistato da Adriana Masotti:

R. – Io credo che l’annuncio della Parola sia stato la sua passione fondamentale. Egli parlava sempre e arrivò a dire un giorno, durante una predica: “Se io dovessi tacere, parleranno le pietre”. Nell’annuncio della Parola aveva una chiarezza particolare. Egli ha un’espressione che a mio modo di vedere è molto bella, quando dice: “Adesso parliamo un poco alla paesana, così ci comprendiamo meglio”. Perché per Gaetano l’importante era che la Parola arrivasse al cuore. Gaetano era convinto che se non si toccava il cuore dell’uomo, l’uomo non sarebbe cambiato mai.

 
D. – Don Gaetano fu confessore per eccellenza. Dicono i testimoni che era disponibile a tutte le ore del giorno e della notte e che tutto il Paese andava a confessarsi da lui, anche da altri paesi vicini. Che cosa significava per lui incontrare proprio nel confessionale la gente?

 
R. – Lui faceva del confessionale il luogo più adatto per richiamare gli uomini a Dio, perché nel confessionale faceva fare l’esperienza della misericordia di Dio. Gaetano parlava sempre di perdono. Noi ci dobbiamo ricordare che don Gaetano è vissuto al tempo del giansenismo, e allora mentre fuori si parlava di severità, mentre fuori si parlava di dannazione, Gaetano parlava solamente di misericordia e incoraggiava. Tant’è vero che diceva: “Voi peccatori, anche se avete commesso i più grandi peccati, non temete, venite, perché il Signore è pronto ad aprirvi le braccia”. Quindi, Gaetano è l’uomo che cerca di infondere nel cuore dei penitenti la fiducia, la speranza. Gli altri sacerdoti dicevano di don Gaetano che era un uomo di marmo, per il tempo che trascorreva nel confessionale. E Giovanni Paolo II lo ha dichiarato nell’omelia della beatificazione “vero martire del confessionale”.

 
D. – Oltre al confessionale, la strada come altro luogo di evangelizzazione…

 
R. – La strada è stata il suo lavoro. Quando noi oggi diciamo di andare verso coloro che sono lontani, don Gaetano l’ha sempre fatto. E’ sulla strada che lui incontrava gli uomini. Lui si fermava nelle bettole, andava nelle famiglie per portare la pace. Si interessava quindi anche dei bambini. Andava sulla strada per visitare i malati, per aiutare le ragazze finite sul marciapiede.

 
D. – Gaetano Errico nacque a Secondigliano, un quartiere a nord di Napoli. Visse in questo quartiere e riuscì anche attraverso la sua opera a dare un volto nuovo a questo territorio. La sua canonizzazione può essere anche di stimolo ai sacerdoti, ai cristiani di Secondigliano, per darsi da fare, per rinnovare il loro ambiente?

 
R. – Io ho interpretato questo evento della canonizzazione come un segno della misericordia di Dio che ancora una volta ha voluto dire a noi, che viviamo a Secondigliano, sia sacerdoti, sia laici: “Io sono con voi, non vi arrendete, non temete”. E’ un forte segno di speranza per tutto il quartiere, per Napoli, e direi per tutto il Meridione d’Italia”.







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