Benedetto XVI proclamerà domani 4 nuovi Santi: una laica ecuadoriana, una religiosa
svizzera, un sacerdote napoletano e una clarissa del Kerala, prima Santa dell'India
Settecento sacerdoti, numerosi vescovi, duemila religiose e quattromila fedeli: sono
i numeri dell’imponente presenza che, dallo Stato indiano del Kerala e da altri Stati
del Paese asiatico, si è mobilitata per essere domani in Piazza San Pietro alla Messa
di canonizzazione della prima Santa indiana, la francescana clarissa Alfonsa dell'Immacolata
Concezione. A presiedere il rito, con inizio alle ore 10, sarà Benedetto XVI, che
proclamerà Santi anche il sacerdote napoletano, Gaetano Errico, la religiosa svizzera,
Maria Bernarda Verena Bùtler, e la laica ecuadoriana, Narcisa di Gesù Martillo y Moràn.
Alessandro De Carolis racconta le vicende della Beata Alfonsa e del Beato Errico
in questa scheda:
La vicenda
di Alfonsa dell'Immacolata Concezione inizia nello Stato indiano del Kerala, dove
nasce nell’agosto del 1910. Orfana, rimane molto presto affascinata dalla vita religiosa
ma i suoi parenti hanno altri progetti e la costringono al matrimonio. Anna Muttathupadathu,
questo il suo nome, si sottrae con la forza all’imposizione e riesce a farsi ammettere
fra le Clarisse Malabaresi. La salute malferma le impone grandi sofferenze, che suor
Alfonsa patisce senza lamentele. Nella sua sofferenza diceva: “Io sento che il Signore
mi ha destinata ad essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Il giorno in
cui non ho sofferto è un giorno perduto per me”. Muore nel 1946, a 36 anni. Si spegne
la sua breve esistenza di religiosa ma non la fama di santità che l’accompagna e che
dilaga in modo impressionante dopo la sua morte. Nel 1986, Giovanni Paolo II la proclama
Beata, la prima dell’India, e domani ne diverrà la prima Santa, al cospetto di una
numerosissima rappresentanza - almeno 7 mila tra clero, suore e fedeli attesi in Piazza
San Pietro - che a sua volta non è che una piccola parte di quell’oceano di pellegrini
che, anche in queste ore a migliaia, ogni anno si recano sulla sua tomba per pregare
e chiedere grazie: cattolici ma anche musulmani e induisti, attratti dalla purezza
della sua giovane vita tanto sofferta e dal suo potere taumaturgico.
All’inizio
dell’Ottocento si colloca invece la storia del nuovo Santo italiano, Gateano Errico.
Gaetano non può pagarsi gli studi di sacerdote perché lui, povero figlio di un maccaronaio
alla periferia nord di Napoli, non ha i soldi per onorare la retta. Riesce più tardi
a farsi ammettere al Seminario che, da casa sua, dista 16 chilometri, andata e ritorno:
il giovane li percorre a piedi ogni giorno, portando al servizio della Chiesa una
mente brillantissima e una grande conoscenza dell’animo umano. Si segnala presto per
la grande capacità di amore verso i malati e i poveri e per le sue non comuni doti
di confessore. Combatte contro l'opera scristianizzante delle "sette" e per questo
lo picchiano e attentano alla sua vita, senza intimorirlo. Nel 1833, fonda la Congregazione
dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Muore nella sua città, Napoli,
nel 1860. Ecco come ne ricorda l’opera il postulatore della Causa di canonizzazione,
padre Luigi Toscano, intervistato da Adriana Masotti:
R.
– Io credo che l’annuncio della Parola sia stato la sua passione fondamentale. Egli
parlava sempre e arrivò a dire un giorno, durante una predica: “Se io dovessi tacere,
parleranno le pietre”. Nell’annuncio della Parola aveva una chiarezza particolare.
Egli ha un’espressione che a mio modo di vedere è molto bella, quando dice: “Adesso
parliamo un poco alla paesana, così ci comprendiamo meglio”. Perché per Gaetano l’importante
era che la Parola arrivasse al cuore. Gaetano era convinto che se non si toccava il
cuore dell’uomo, l’uomo non sarebbe cambiato mai.
D.
– Don Gaetano fu confessore per eccellenza. Dicono i testimoni che era disponibile
a tutte le ore del giorno e della notte e che tutto il Paese andava a confessarsi
da lui, anche da altri paesi vicini. Che cosa significava per lui incontrare proprio
nel confessionale la gente?
R. – Lui faceva del confessionale
il luogo più adatto per richiamare gli uomini a Dio, perché nel confessionale faceva
fare l’esperienza della misericordia di Dio. Gaetano parlava sempre di perdono. Noi
ci dobbiamo ricordare che don Gaetano è vissuto al tempo del giansenismo, e allora
mentre fuori si parlava di severità, mentre fuori si parlava di dannazione, Gaetano
parlava solamente di misericordia e incoraggiava. Tant’è vero che diceva: “Voi peccatori,
anche se avete commesso i più grandi peccati, non temete, venite, perché il Signore
è pronto ad aprirvi le braccia”. Quindi, Gaetano è l’uomo che cerca di infondere nel
cuore dei penitenti la fiducia, la speranza. Gli altri sacerdoti dicevano di don Gaetano
che era un uomo di marmo, per il tempo che trascorreva nel confessionale. E Giovanni
Paolo II lo ha dichiarato nell’omelia della beatificazione “vero martire del confessionale”.
D.
– Oltre al confessionale, la strada come altro luogo di evangelizzazione…
R.
– La strada è stata il suo lavoro. Quando noi oggi diciamo di andare verso coloro
che sono lontani, don Gaetano l’ha sempre fatto. E’ sulla strada che lui incontrava
gli uomini. Lui si fermava nelle bettole, andava nelle famiglie per portare la pace.
Si interessava quindi anche dei bambini. Andava sulla strada per visitare i malati,
per aiutare le ragazze finite sul marciapiede.
D.
– Gaetano Errico nacque a Secondigliano, un quartiere a nord di Napoli. Visse in questo
quartiere e riuscì anche attraverso la sua opera a dare un volto nuovo a questo territorio.
La sua canonizzazione può essere anche di stimolo ai sacerdoti, ai cristiani di Secondigliano,
per darsi da fare, per rinnovare il loro ambiente?
R.
– Io ho interpretato questo evento della canonizzazione come un segno della misericordia
di Dio che ancora una volta ha voluto dire a noi, che viviamo a Secondigliano, sia
sacerdoti, sia laici: “Io sono con voi, non vi arrendete, non temete”. E’ un forte
segno di speranza per tutto il quartiere, per Napoli, e direi per tutto il Meridione
d’Italia”.