Continua l'avanzata israeliana a Gaza. Situazione umanitaria drammatica
Negli scontri nella notte e stamane, secondo fonti palestinesi almeno 12 civili sono
rimasti uccisi: tra questi almeno tre bambini e una famiglia intera di sette persone.
Finora, dunque, sarebbero almeno 524 i palestinesi uccisi dall'inizio dell'intervento
israeliano a Gaza, 10 giorni fa. Continuano intanto i lanci di razzi da Gaza, caduti
anche dentro la città israeliana di Sderot, causando panico e il ferimento non grave
di 9 persone. Israele ha respinto oggi la proposta dell'Ue di inviare osservatori
nella Striscia a fine combattimenti. Il servizio di Fausta Speranza:
Attaccati
30 obiettivi, mentre le forze terrestri avanzano nella Striscia di Gaza appoggiate
dall'artiglieria navale. Un soldato israeliano è rimasto ucciso ieri. L'Unione Europea
continua a operare per un cessate il fuoco. La trojka di Repubblica Ceca, presidente
di turno UE, Francia e Svezia, ha incontrato stamane il presidente egiziano, Mubarak,
per poi puntare a Gerusalemme. Da parte sua il presidente francese Sarkozy, pur esprimendo
un certo scetticismo, comincia nel pomeriggio la sua missione in Medio Oriente con
incontri ai vertici con l'Autorità nazionale palestinese, Israele, Egitto, Siria e
Libano. Resta da dire del primo intervento televisivo di Hamas dall'inizio dell'offensiva
israeliana: un importante dirigente ha promesso ai suoi la “vittoria”. Parlando di
media, Human Rights Watch chiede a Israele l'accesso a Gaza per giornalisti e osservatori.
Già a fine novembre i principali media internazionali con una lettera al premier Olmert
avevano lamentato il rifiuto “prolungato e senza precedenti” di far accedere i giornalisti
nella Striscia di Gaza. E c’è poi quanto sostiene il quotidiano britannico Times:
Israele sta usando proiettili al fosforo bianco, che causa ustioni mortali, per coprire
con schermi fumogeni l'avanzata delle proprie truppe nella Striscia di Gaza. Secondo
il Trattato di Ginevra del 1980, le armi al fosforo bianco non possono essere usate
in aree abitate da civili. Le forze israeliane smentiscono.
Sempre
più grave la situazione umanitaria per la popolazione civile di Gaza. A parte la scarsità
sempre più evidente di beni di prima necessità, per i feriti è sempre più difficile
raggiungere gli ambulatori e le cliniche da campo messe in piedi dalle organizzazioni
umanitarie. In particolare, Medici Senza Frontiere sta operando senza sosta nella
Striscia, adeguando la propria attività alle esigenze della popolazione civile, drammaticamente
mutate dopo l’attacco israeliano. Giancarlo la Vella ne ha parlato con Sergio
Cecchini di Medici Senza Frontiere:
R. –
La situazione è drammatica, sia per i bisogni umanitari ma soprattutto per il fatto
che è tagliata in due la Striscia di Gaza e spostarsi in questo momento all’interno
è praticamente impossibile a rischio della propria vita. Questo impedisce anche alle
persone, ai feriti, di raggiungere le strutture ospedaliere e impedisce quella che
è la distribuzione degli aiuti di prima necessità, come il cibo e la possibilità di
erogare acqua potabile.
D. – In particolare, quali
sono le fasce di popolazione più a rischio?
R. –
Quelle normalmente più vulnerabili, vale a dire gli anziani – affetti normalmente
da malattie croniche – e ovviamente i bambini entro i 5 anni; sono le categorie di
persone più esposte a un deterioramento della situazione, come quella che sta avvenendo
in questo momento a Gaza, ma che sta avvenendo da diversi anni. Non dimentichiamo
che dal 2006 Gaza è sotto un embargo ferreo che ha messo in ginocchio quelle che sono
le attuali strutture sanitarie, impedendo un appropriato rifornimento di medicinali
e di attrezzature mediche.
D. - In previsione dell’attacco
di terra, alcuni giorni fa Israele aveva impedito l’accesso nella striscia a operatori
umanitari, giornalisti; voi avete avuto difficoltà, in tal senso?
R.
– Siamo potuti accedere alla Striscia di Gaza e mandare del personale aggiuntivo;
nonostante ciò, è molto difficile far arrivare aiuti umanitari, e soprattutto far
arrivare personale internazionale. Da tre giorni stiamo cercando di far arrivare un
altro team chirurgico a Gaza per supportare un ospedale, ma da tre giorni non riusciamo
ad avere i permessi per poterlo far entrare. Per cui c’è una possibilità di accesso
per gli operatori umanitari, ma è estremamente lenta, burocratica e difficile, non
adeguata a rispondere alle esigenze in questo momento della popolazione civile.
D.
– Quanto è difficile, in questa situazione, operare?
R.
– Noi abbiamo dovuto rivedere tutto il nostro approccio. Se prima ci focalizzavamo
in cliniche nelle tre zone principali di Gaza per garantire cure post-operatorie,
adesso abbiamo praticamente dovuto trasformare tutti i nostri operatori sanitari sul
posto in delle piccole cliniche mobili, vale a dire abbiamo fornito di medicinali
e di piccoli kit medici ciascuno dei nostri operatori sul posto e gli abbiamo detto
di fare un lavoro veramente porta a porta all’interno del proprio quartiere. Vista
l’impossibilità dei civili a raggiungere le strutture ospedaliere, siamo noi, con
i nostri operatori, a cercare di andare a casa delle persone, proprio per garantire
quel minimo di assistenza medica necessaria per i più vulnerabili. Teniamo anche conto
che diversi operatori sanitari palestinesi hanno pagato con la vita il prezzo di fare
il proprio lavoro, cioè soccorrere la popolazione.
D.
– Proprio su questo aspetto, quali sono i rischi per voi?
R.
– I rischi sono dati dal fatto che, nonostante i bombardamenti siano presentati come
bombardamenti chirurgici, avvengono in una delle zone più densamente popolate al mondo.
Quindi ci vuol poco a capire a quali rischi sono esposti gli abitanti di Gaza.E sono
state colpite unità sanitarie! Il rischio di operare, in questo momento, a Gaza è
semplicemente quello di fare un lavoro utile, cioè muoversi e trasportare i feriti:
è un lavoro ad altissimo rischio.