Le Chiese cristiane al Sudan: non bloccare le operazioni umanitarie in Darfur
I vertici della Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (CETA) hanno chiesto al
governo sudanese di “consentire la prosecuzione delle operazioni umanitarie” nel Darfur
dopo la recente espulsione dal Paese di 13 ong internazionali. La richiesta è contenuta
in una dichiarazione diffusa il 26 marzo dal Comitato generale riunito a Nairobi in
Kenya. “Siamo profondamente preoccupati per le conseguenze dell’espulsione di queste
organizzazioni che hanno permesso di salvare vite umane in Sudan”, si legge nella
dichiarazione del Comitato generale, che riunisce più di 100 Chiese (per lo più protestanti
e anglicane) e 39 Consigli di Chiese associate, presenti in 34 Paesi africani. Come
si ricorderà, l’espulsione delle 13 agenzie umanitarie è avvenuta dopo il mandato
d'arresto emanato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia (CPI) nei confronti del
Presidente Omar Hassan el-Bashir accusato di crimini di guerra e contro l'umanità
per i massacri nel Darfur. Il governo di Khartum le accusa di avere messo a repentaglio
la sicurezza del Paese, riferendo informazioni false al TPI. Nella dichiarazione,
ripresa dall’agenzia ecumenica Eni, la CETA ricorda che il governo sudanese è responsabile
“della protezione dei suoi cittadini, quali che siano le loro origini, religioni o
affiliazioni politiche” ed invita “tutte le parti in conflitto nel Darfur ad astenersi
dal ricorso a qualsiasi forma di violenza e a rispettare i diritti della persona e
la dignità di tutti i cittadini del Sudan”. La decisione della Corte Internazionale
ha suscitato qualche perplessità anche tra i vescovi cattolici sudanesi, preoccupati
delle sue possibili ripercussioni negative sul delicato processo di pace iniziato
nel 2005 con gli accordi siglati tra il governo di Khartum e i ribelli dello SPLA,
dopo una guerra civile che per più di un ventennio ha insanguinato il Sud del Paese.
(L.Z.)