La Pasqua tra i detenuti. La testimonianza di padre Trani, cappellano del carcere
romano di Regina Coeli
In questi giorni di Pasqua, i cristiani vivono la gioia della Resurrezione del Signore.
E ovunque si respira un clima di serenità, da trascorrere in famiglia. Ma ci sono
anche coloro che non possono godere di questa atmosfera serena: sono i detenuti, le
persone in carcere, come quello romano di Regina Coeli. Come si vivono, allora, i
giorni pasquali, in questo luogo di detenzione? Isabella Piro lo ha chiesto
al cappellano di Regina Coeli, padre Vittorio Trani:
R. - E’ un
po’ come gli altri contesti. Noi abbiamo fatto la benedizione delle carceri e delle
celle, con l’impegno dei sacerdoti di venire incontro ad un colloquio per le confessioni.
Abbiamo fatto la Via Crucis, la Santa Messa in Coena Domini. Siamo, quindi,
una parrocchia sui generis, ma non si trascura nulla delle cose che si celebrano negli
altri contesti.
D. - I familiari dei detenuti, che
in questi giorni ovviamente sono separati da loro, come vivono - per quella che è
la sua esperienza - questi giorni di festa?
R. -
Per loro è doppiamente un momento difficile, perché io immagino una mamma, una moglie,
che ha a casa dei bambini, senza il marito. E poi c’è l’aspetto pesante nel sapere
che il proprio caro è solo in un contesto di limitazione di libertà. In questi giorni
tutti cercano di venire per il colloquio in carcere, il più vicino possibile alla
Pasqua. Rimane sempre, però, un fatto che non toglie la pesantezza del carcere.
D.
- Come trasmettere la speranza a chi è dietro le sbarre?
R.
- Il ricordare all’uomo in difficoltà che il Signore ci ha redenti, ci ha salvati,
è morto per noi, che ci ama, che ci ha rivelato il volto del Padre, rappresenta un
messaggio importante soprattutto per coloro che si trovano a vivere un’esperienza
simile. Questo del carcere è un calvario molto forte, molto pesante.
D.
- Da tanti anni lei è cappellano a Regina Coeli: c’è una storia in particolare che
le è rimasta nel cuore?
R. - L’esperienza di un ragazzo
che rubò ad una signora la catenina e la sera questa signora, che apparteneva ad un
movimento cristiano molto impegnato, pregando con il marito disse: “E se questo giovane
che ha rubato avesse in questo modo chiesto aiuto a noi, perché è nella disperazione?”.
E così inviarono al ragazzo una lettera, quando si trovava a Regina Coeli, il quale
me la fece vedere. Inizialmente, il ragazzo diceva “questi sono matti”. Loro gli scrivevano:
“Siamo qui, ti abbiamo scoperto, conosciuto, attraverso questa forma sbagliata, e
ti vogliamo amare, vogliamo esserti vicino, ti vogliamo aiutare”. L’immissione di
un rapporto d’amore dentro l’esperienza di una vita negativa di questo ragazzo l’ha
trasformato. Adesso è un papà di famiglia splendido. Io dico sempre che il dinamismo
dell’amore in questo contesto è sempre vincente, perchè è un mondo dove gran parte
del male è legato alla mancanza di amore.
D. - Qual
è il suo augurio per tutti i detenuti di Regina Coeli e non solo?
R.
- Che non perdano la speranza, perché il Signore rimane vicino sempre, soprattutto
quando la vita si fa in salita. E per loro l’esperienza detentiva è veramente una
salita molto difficile.