Il 6 febbraio a Pechino inaugurazione di una mostra dedicata a padre Matteo Ricci,
a 400 anni dalla morte del grande apostolo gesuita in Cina
“Matteo Ricci. Incontro di civiltà nella Cina dei Ming”. Con questo titolo, e con
un ricchissimo repertorio di opere d’arte e oggetti di grande valore culturale, si
appresta a sbarcare a Pechino il prossimo 6 febbraio la mostra itinerante, promossa
dalla Regione Marche, in occasione del quarto centenario della morte del grande missionario
gesuita del Cinquecento, che si fece “cinese tra i cinesi”. La mostra, che toccherà
anche altre città del Paese orientale, è concepita in due parti: la prima espone per
la prima volta in Cina grandi opere del Rinascimento italiano - tra cui tele di Raffaello
e Tiziano - mentre la seconda parte racconta la Cina di fine ‘500 attraverso alcuni
strumenti dell’epoca. Alessandro De Carolis ha parlato del significato della
mostra con mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, città natale di padre
Ricci:
R. - Rappresenta
una continuità innanzitutto con la mostra che è stata realizzata a Roma e che chiuderà
il 24 gennaio. Abbiamo voluto - come Comitato per le celebrazioni dei 400 anni della
morte di padre Matteo Ricci - disegnare l’itinerario che ha caratterizzato la sua
missione in Oriente, realizzando quella missione mai riuscita a nessuno fino ad allora
di far penetrare in modo stabile e significativo il Vangelo in quel grande popolo
cinese che aveva una sua civiltà, una sua cultura, tradizioni religiose. Quindi, una
grande impresa che è caratterizzata dalla mostra di Roma e ora da queste tre esposizioni
che ci saranno nelle città più significative: Pechino, Shangai e Nankino.
D.
- Quello che la Cina non ha mai dimenticato in 400 anni è lo stile missionario di
Matteo Ricci, capace di entrare in profonda sintonia con il cuore di chi lo ascoltava,
prima ancora che con la sua anima. Che cosa la colpisce, eccellenza, di questo aspetto?
R.
- Colpisce di padre Matteo Ricci come sia riuscito a penetrare dentro l’intimo del
popolo cinese, non solo per le innovazioni tecnologiche in ambito cartografico, in
ambito astronomico, in ambito artistico - ha portato strumenti musicali, ha introdotto
la prospettiva facendo conoscere l’arte rinascimentale dell’Occidente - tutti aspetti
che sono certamente rilevanti, ma che non danno ragione di quel rapporto così singolare
e così intimo, profondo che Matteo Ricci ha saputo stabilire proprio con il popolo
e la cultura cinese. Lui, con l’amicizia, con il rispetto, con il dialogo, con quel
metodo tutto particolare, innovativo dell’inculturazione, è riuscito a far innestare
il Vangelo nella tradizione più consolidata, che aveva la sua matrice nella filosofia
e nella mentalità confuciana. Non è un caso che la prima opera scritta in cinese sia
l’opera sull’amicizia. Questa è la grandezza di padre Matteo Ricci.
D.
- Talvolta, parlando dell’impresa di Matteo Ricci in Cina, si tende a sottolineare
tutti i singoli tratti che caratterizzarono l’apostolato del gesuita, un po' meno
l'aspetto di essere un inviato da un Ordine e quindi di rappresentare la Chiesa universale
sul posto…
R. - Di padre Matteo Ricci la cosa più
evidente è che era un gesuita dalla testa ai piedi, nel senso che lui ha fatto sempre
e solo quello che era concordato con la Compagnia: lo testimoniano tutte le sue lettere
e soprattutto la cronistoria dettagliata che lui ci ha lasciato, con l’ultima e fondamentale
opera dell’entrata della Compagnia di Gesù e cristianità in Cina. E’ tutto legato
strettamente al grande slancio missionario dei Gesuiti, quindi è assolutamente improprio
e fuorviante fare di Matteo Ricci un eroe isolato. E’ tutt’altro: è il testimone di
una Chiesa in missione, con grande intelligenza e con grande disponibilità al dialogo
culturale.
D. - La Chiesa universale sa bene cosa
rappresenti per la sua missione Matteo Ricci, così come la Cina per la sua storia.
Cosa rappresenta invece per Macerata?
R. - Per Macerata
rappresenta la dilatazione di questa città di provincia sul mondo intero, e quindi
impone anche a Macerata di essere all’altezza di questo suo grande figlio. C’è lo
sforzo da parte di tutti di avere questa apertura e anche di saper continuare l’opera
di Ricci in questo dialogo, in questo scambio, in questo incontro. Lo scorso anno,
proprio in concomitanza con la ricorrenza l’11 maggio, abbiamo fatto un grande incontro,
invitando i cinesi che sono in Italia, sono venuti in 250, è stata un’esperienza bellissima
e quest’anno la ripeteremo, vista la coincidenza con il quarto centenario. E' l’idea
di uno scambio e di un’esperienza che è tutt’altro che conclusa e che deve saper continuare
sulle orme di padre Matteo Ricci: con lo stesso entusiasmo, con la stessa passione,
ma anche con lo stesso metodo di conoscenza, di rispetto e di scambio reciproco.