Festa della Repubblica. Napolitano: lavorare insieme per sicurezza e benessere comune
In un mondo sempre più interdipendente non potrà esservi vera sicurezza se permarranno
focolai di minaccia; non potrà esservi vero benessere se anche soltanto una parte
dell'umanità sarà costretta a vivere nell'indigenza. E’ il messaggio del presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della festa della Repubblica. Il
Capo dello Stato, che ha deposto una corona d'alloro davanti al monumento del Milite
Ignoto, ha ribadito la necessità di lavorare insieme per la sicurezza e il benessere
comune. E davanti alle più alte cariche dello Stato si è svolta in via dei Fori Imperiali
la parata militare collegata idealmente con il contingente italiano ad Herat, in Afghanistan,
visitato dal presidente della Camera Fini. Al microfono di Luca Collodi, l’ordinario
Militare mons. Vincenzo Pelvi:
R.
- E’ una commozione sempre nuova. Le forze armate danno un contributo incisivo, direi
insostituibile, al servizio della speranza dei popoli. Dico questo perché oggi le
forze armate sono di apporto al bene comune. Pensiamo al terremoto dell’Aquila, pensiamo
al problema ambientale della Campania. Mi pare che lo strumento militare - perciò
è bella questa festa - diventa promozione di sviluppo e, quindi, anche sostegno alla
causa dei diritti umani.
D. - Durante
l’ultimo tragico attentato in Afghanistan che è costato la vita a diversi militari
italiani, alcuni giornali italiani hanno titolato: ma vale la pena morire per l’Afghanistan?
R.
- Le missioni di pace sono per dare dignità a chi piange e soffre in terre dimenticate.
La pace deve essere fondata sul riconoscimento dell’uguaglianza tra gli uomini, sulla
fraternità. Le missioni sono una manifestazione di quella responsabilità di bene che
va sempre protetto e custodito. Se uno Stato non è in grado di proteggere la propria
popolazione è chiaro che si è invitati a intervenire. C’è la via diplomatica, si presta
attenzione a tutti quei segni di democrazia. Per cui, il sacrificio dei militari non
è vano, non solo per l’Afghanistan, ma per il mondo intero.
Il
2 giugno quest’anno si inserisce all’interno dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità
d’Italia. Luca Collodi ne ha parlato con il segretario generale della Cei,
mons. Mariano Crociata.
R.
- Un valore che è maturato ed è stato compreso sempre di più con il passare del tempo
ma che è contenuto nei suoi inizi e - direi - ancora di più nelle sue radici che attingono
profondamente nel passato di questo Paese, perché l’unità d’Italia raggiunge la sua
configurazione politico-istituzionale dopo un lungo processo storico in cui l’unità
religiosa, culturale, morale si elabora, fermenta - possiamo pure dire - da secoli.
D.
- Mons. Crociata il processo federalista può rafforzare questa unità tra nord e sud
d’Italia?
R. - Il punto non è mettere
in contrapposizione unità e federalismo. Io evocherei il principio della sussidiarietà.
Ciò che la singola parte può fare è bene che lo faccia autonomamente. Solidarietà
e sussidiarietà non possono essere contrapposte, perché se è vero che una certa unitarietà
gestita in maniera centralistica, disattenta ad alcune istanze, rischia di mortificare
o di non tenere conto di esigenze proprie di determinati territori, è vero anche che,
all’opposto, il chiudersi delle singole parti alla fine impoverisce anche quelle parti
che si isolano pensando illusoriamente di essere autosufficienti in tutto.