La comunità cattolica in Turchia dopo l'uccisione di mons. Padovese non perde la fiducia
nel dialogo
E’ giunta ieri a Milano la salma di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia
e presidente della Conferenza episcopale di Turchia assassinato lo scorso 3 giugno
dal suo autista, Murat Altun. La camera ardente sarà aperta fino a domenica - dalle
8 alle 20 - nel convento dei francescani di viale Piave. Lunedì mattina, alle 10.30,
l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, celebrerà i funerali in Duomo.
Sull’assassinio efferato del presule permangono dubbi e polemiche. Secondo l’arcivescovo
metropolita di Smirne, mons. Ruggero Franceschini, l’efferata azione è riconducibile
a qualcosa che va “verso gruppi che vogliono destabilizzare il governo turco”. Secondo
il presule, l’omicida può essere visto come “uno strumento” in mano a tali gruppi.
Mons. Franceschini ha poi sottolineato che occorre solo la verità e non menzogne per
far piena luce sul delitto. In quest’Anno Sacerdotale la piccola comunità cattolica
della Turchia ha dunque perso il suo pastore: i fedeli sono ancora sgomenti per l’accaduto,
ma non sfiduciati, come ci riferisce Maria Grazia Zambon, una laica consacrata
della diocesi di Milano, collaboratrice pastorale di mons. Padovese, e che dal 2001
vive in Turchia. Fabio Colagrande l’ha intervistata:
R.
– Siamo ancora sotto shock per il grande lutto che stiamo vivendo e siamo molto sgomenti,
perché non ci aspettavamo assolutamente questo evento.
D.
– Che tipo di persona, che tipo di sacerdote era mons. Padovese?
R.
– Prima di tutto credo che non fosse un semplice sacerdote. Per noi era il vescovo,
quindi nostro pastore e nostra guida. Proprio per questo adesso sentiamo questo grande
vuoto. La cosa che colpiva sempre è che era un grande studioso, appassionato della
Turchia e della gente di qua e accanto a questo aveva una grande semplicità, una grande
disponibilità a dialogare con tutti e a cercare di intessere relazioni con tutti,
con i semplici, con le autorità civili, con i vescovi delle altre Chiese e anche di
altre religioni.
D. – Come viveva il dialogo interreligioso
mons. Padovese?
R. – Sicuramente a più livelli. Prima
di tutto, essendo in una terra prevalentemente non cristiana, con il dialogo di tutti
i giorni. Come sappiamo nella sua casa aveva dipendenti non cristiani. Quindi, intesseva
questo dialogo quotidiano con la gente, con i vicini e così via. Poi, però, anche
cercando di costruire e di collaborare con le autorità civili e le autorità religiose
ad alto livello, quindi anche teologico.
D. – Qual era
il suo atteggiamento di fronte alle limitazioni che la libertà religiosa dei cristiani
subisce, di fatto, in Turchia?
R. – Penso che gli atteggiamenti
fossero molteplici. Primo, una grande sofferenza per lui, pastore e quindi guida della
Chiesa, nel vedere come la Chiesa non sempre possa esprimersi, non possa avere dei
luoghi dove ritrovarsi e quindi dove pregare, dove stare insieme. E, in secondo luogo,
comunque operando anche attivamente con chi di dovere, anche con il governo, con i
ministri, perché questa libertà fosse reale e non solo sulla carta.
D.
– Voi vedevate la sua fatica, la sua sofferenza in questa situazione...
R.
– Sì, anche però la cosa che stupiva sempre era questa serenità di fondo, che lui
continuava a mantenere. Lui più volte ha detto di pregare anche per lui, per questa
sua missione, per questo suo servizio in questa terra. Ma poiché è sempre stato appassionato
della vita, bastava poco perché gli ritornasse la serenità sul volto.
D.
– Aveva una grande attenzione anche per i pellegrini che giungevano in Turchia sui
luoghi di Paolo, non è vero?
R. – Certo, lui ha conosciuto
la Turchia proprio attraverso questi viaggi, che lui stesso ha iniziato, ha promosso,
ha voluto, ancor prima di essere vescovo qui e ha istituito tanti simposi, tanti convegni,
proprio per far conoscere la Turchia cristiana. E ha avuto grande influenza la sua
presenza e la sua attività durante l’Anno Paolino.
D.
– Come comunità cristiana in Turchia avete ricevuto molti messaggi di condoglianze
dopo l’uccisione di mons. Padovese?
R. – Innumerevoli,
veramente da tutte le parti del mondo e da tutte le parti della Turchia.
D.
– So che è una domanda difficile ... ma come guardate al vostro futuro di cristiani
in questa terra ora?
R. – Sicuramente dopo il primo
sgomento e – ripeto – questo vuoto, noi siamo fiduciosi. Siamo fiduciosi perché crediamo
che la sua morte abbia un senso, non sia vana e il suo sangue porterà frutto anche
in questa terra.
D. – Mons. Padovese resterà per voi
un punto di riferimento?
R. – Certamente. Penso che
proprio adesso anche noi dovremo rileggere tutti i suoi scritti, le lettere pastorali
che ha scritto in questi anni, in cui continuamente ci incoraggiava, ci spronava ad
essere testimoni del Vangelo e fedeli alla Chiesa, proprio come San Paolo.