La nave San Marco a Lampedusa. L'arcivescovo di Agrigento: solidarietà e soluzioni
rapide
E’ arrivata questa mattina a Lampedusa la nave San Marco della Marina militare italiana,
che sarà utilizzata per trasferire gli immigrati giunti nell'isola. La nave farà la
spola con la terraferma cercando di limitare il sovraffollamento. Le Regioni italiane
sono disposte ad accogliere fino a 50mila profughi. Resta, intanto, drammatica l’emergenza
tra la solidarietà e la preoccupazione dei cittadini. Da Lampedusa, il servizio del
nostro inviato Massimiliano Menichetti.
I giorni
passano qui a Lampedusa e gli immigrati, per lo più tunisini, continuano ad arrivare:
80 nell'ultima ora, che si aggiungono ai quasi 5000 ancora presenti, nonostante alcuni
trasferimenti. La nave San Marco giunta, questa mattina, per decongestionare l’isola,
in realtà, per ragioni di sicurezza, potrà ospitare solo 550 persone. Le forze dell’ordine,
400 unità, controllano il territorio; giornalisti ed agenzie umanitarie sono tutti
impegnati a sconfiggere abbandono indigenza e violazione dei più elementari diritti
umani. Il Centro di prima accoglienza è al collasso, scoppiano la parrocchia
ed il centro per minori. Ma ciò che non cambia con il trascorrere del tempo non è
solo il quadro drammatico, è soprattutto la generosità dei lampedusani che questa
mattina hanno gremito, insieme ad alcuni tunisini, la parrocchia di San Gerlando.
A celebrare la Messa, di primo mattino, l'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro,
che - giunto nell'isola - si è stretto in preghiera con la popolazione e i migranti,
declinando il senso della carità che affonda le radici in Cristo e che per questo
apre gli occhi ed il cuore sull’altro. Decine le persone che instancabilmente preparano
cibo, donano soldi e vestiti a chi arriva con il sale sulla pelle e stremato dopo
un viaggio durato giorni. Ecco alcune testimonianze di lampedusani:
D.
– Signora, perché lo fa?
R. – Per amore verso il prossimo, soprattutto,
e per aiutare questi fratelli. Se ci trovassimo noi nelle loro condizioni cosa succederebbe?
D.
– E’ difficile quest'opera di solidarietà? C’è tanta gente che viene...
R.
– La difficoltà c’è sicuramente, però noi ci diamo da fare e andiamo avanti.
D.
– La popolazione ha dato tantissimo...
R. – Sì, sì, ci diamo da fare.
Adesso è la Caritas di Agrigento che ci sta dando aiuto, perché noi isolani abbiamo
dato e stiamo dando tanto, ma per quello che abbiamo non possiamo dare di più, siamo
davvero in difficoltà. Non so fino a quando potremo andare avanti, perché se non c’è
più niente, come si fa?
Lampedusa è preoccupata per il turismo, prima
voce del suo sostentamento, invoca interventi concreti:
R. – Noi accogliamo
gli immigrati, li aiutiamo, diamo loro anche da mangiare, anche i nostri vestiti e
i soldi a chi non ce l’ha. Vogliamo tornare, però, alla nostra tranquillità di una
volta. Speriamo che lo Stato ci aiuti e si renda conto che non possono stare in pianta
stabile in un’isola queste persone. Se lei va a fare un giro adesso al porto... io
ci sono andato ieri e mi veniva da piangere, perché si trovano in condizioni veramente
inconcepibili.
I migranti, per lo più ragazzi dai 16 ai 28 anni,
che nella propria terra hanno lasciato tutto, stanno iniziando ad ammalarsi per colpa
del freddo della notte. Dormono dove capita, come tetto una coperta. E’ aumentata
la paura di parlare ad un microfono, alcuni vorrebbero tornare a casa, in altri c’è
ancora la speranza di un futuro migliore. Questa la testimonianza di un giovane
tunisino:
R. – In Tunisia non avevo più niente, sono venuto
qua per lavorare e aiutare la mia famiglia, mia madre, i miei fratelli: mio padre
è morto.
D. – Quanti anni hai?
R. – 23.
D.
– Il viaggio è stato difficile?
R. – Ho passato tre giorni in mare.
Il primo giorno avevo un po’ di cibo, poi più nulla.
D. – Vuoi rimanere
in Italia o vuoi andare da altre parti?
R. – Rimango dove trovo lavoro,
in Francia, in Spagna... dove c’è lavoro.
D. – Prima c’era Ben Ali,
adesso non c’è più. Quando era meglio?
R. – E’ meglio che sia andato
via Ben Ali, ma adesso non abbiamo più un presidente e non abbiamo neanche lavoro.
C’è il caos adesso in Tunisia.
D. – Che costo ha avuto il viaggio?
R.
– Quasi 500 euro. Ho venduto quello che avevo per racimolarli e mi ha aiutato la famiglia.
Ora la devo aiutare. Non siamo venuti qua per rubare: siamo venuti solo per lavorare
e guadagnare qualche soldo per le nostre famiglie.
La Croce Rossa sta
studiando come e se avviare un corridoio sanitario, l’Alto Comissariato Onu per i
rifugiati denuncia una situazione inaccettabile, il sindaco De Rubeis fa appello a
tutte le istituzioni affinché sia avviata una strategia concreta di smistamento come
accadde oltre 10 anni fa.(ap)
L’arcivescovo di Agrigento, Francesco
Montenegro - come abbiamo detto - è giunto nell'isola in segno di solidarietà
e vicinanza sia con i lampedusani che con gli immigrati. Massimiliano Menichetti gli
ha chiesto di spiegarci i motivi di questa sua decisione:
R. – Perché
sono il vescovo di questa gente. Il mio posto per adesso è qui, perché è il momento
più difficile per questa gente. D. – Che cosa ha portato?
R.
– L’affetto, la stima, la solidarietà di una Chiesa agrigentina e non solo: tutti
hanno manifestato la loro vicinanza.
D. – Lei oggi nella sua omelia
ha, di fatto, declinato tre architravi: la fede, la speranza e la carità...
R.
– E’ nella vita di ogni giorno che dobbiamo trovare e mettere queste tre realtà. E’
una storia strana quella che stiamo vivendo ma bisogna guardarla con gli occhi della
fede... io mi sto chiedendo: “Ma il Signore cosa vuole?” perché è Lui che sta passando
da queste parti e se passa con questa insistenza e in questa maniera, a noi della
Chiesa di Agrigento vorrà dire qualcosa. Non so tradurre quello che Lui vuol dire.
E guardando la storia, l’intervento di quegli uomini che si sono affidati a Lui, ha
cambiato qualcosa. Per noi non può essere lo stesso?
D. – Prendendo
in mano il calice ha invitato a guardare a quel calice quale sintesi delle difficoltà
e delle realtà degli isolani, ma anche dei tanti migranti...
R. – L’altare
è un luogo particolare: per quanto piccolo è l’incrocio di tutti gli uomini. E quel
calice è il luogo dove ognuno può trovare posto e là la diversità finisce, perché
dentro quel calice si mette in comune vita, paura, speranza e gioia. Ho detto alla
gente che là noi dobbiamo trovare posto, ma non possiamo metterci da soli.
D.
– Di fatto non lo ha espresso apertamente, però ha operato una grande distinzione
tra quella che è la solidarietà e la carità, che invece queste persone di fede stanno
mostrando a chi è nel bisogno...
R. – La solidarietà parte da un uomo
che si accorge che c’è un altro uomo che può avere bisogno. La carità ha sempre la
spina inserita nel cuore di Cristo e questo fa la differenza. I gesti saranno sempre
gli stessi. C’è, però, una carica intensa diversa e noi come cristiani dobbiamo andare
oltre l’elemosina e quella solidarietà fredda: deve essere un metterci accanto con
il cuore aperto, così come Cristo ha fatto con noi. D. – Come ha trovato
la sua comunità qui sull’isola?
R. – Provata, stanca; tanta gente mi
ha commosso: si sente piccola davanti ad una realtà grande. Ho ammirato questa gente,
perché continua a fare gesti di carità per cui uno resta a bocca aperta. La signora
che prepara il thermos del caffè, chi carica le batterie, senza paura. Mi hanno detto:
“Noi non abbiamo paura, noi facciamo questo da sempre e continueremo a farlo”. Sono
mortificati per quell’immagine che è stata letta male, del giorno della protesta,
quando i tunisini non sono scesi a terra immediatamente. Loro mi hanno assicurato,
quasi scusandosi: “Noi non abbiamo mai fatto una cosa simile”. Questo mi commuove,
perché come padre di questa famiglia, sento che ci sono dei figli con il cuore grande,
anche se non guardati da nessuno, perché sono quelli che stanno proprio in fondo.
D.
– Qual è il suo auspicio in questa situazione?
R. – L’auspicio è che
si decongestioni l’isola il più presto possibile. Non si può vivere con gente che
passa la notte sotto l’acqua, sulla banchina del porto e che deve stare come in un
canile. Si sono costruiti con cellofan, tavole e cartoni, luoghi dove passare la notte
e questo non permetterà neppure una serenità di cuore.
D. – Un aspetto
che ho notato è questo: le proteste, le contestazioni non sono mai contro le persone
che arrivano, ma contro una situazione che non viene gestita adeguatamente. Quindi,
comunque, l’accoglienza rimane in prima linea in questa comunità?
R.
– Ho visto la loro preoccupazione di rassicurarmi, perché hanno detto: “Guardi, ci
creda – con le lacrime agli occhi – noi non ce l’abbiamo con quella gente, però ci
chiediamo perché stia succedendo tutto questo e perché non ci siano risposte più pronte”.
Un centro ben organizzato –dicono – ci può stare e noi non vogliamo che vada via.
Lampedusa è stato portato come modello anche dal Papa, in precedenza. Quindi, perché
– dicono – dobbiamo perdere questa possibilità che abbiamo di dimostrare al mondo
che si può accogliere l’altro, anche se non lo conosci? (ap)
Sull’emergenza
a Lampedusa, Massimiliano Menichetti ha sentito Laura Boldrini, portavoce in
Italia dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati:
R. - Di per
sé non sarebbe un’emergenza se queste persone fossero trasferite in tempo reale, come
è normale che sia e come è sempre stato, fuori dall’isola. Poiché i trasferimenti,
invece, vanno a rilento si crea questo imbuto che genera molte disfunzioni. Intanto,
l’assistenza che viene data è assolutamente inadeguata, al di sotto degli standard.
Io ho visto - come tutti noi qui sull’isola - migranti che dormono sotto i camion,
nelle barche da rottamare, che si riscaldano con i fuochi: un’immagine dell’isola
che non si era mai vista. La soluzione a questa situazione che nell’isola pesa molto
è rafforzare il trasferimento, anche perché potremmo essere alla vigilia di un flusso
dalla Libia. Finora qui sono arrivati solo tunisini ma è presumibile che con l’escalation
militare in Libia ci possa anche essere un flusso di persone bisognose di protezione,
di civili che chiedono asilo e in questo caso l’isola deve veramente poter essere
un luogo di primo soccorso. Ma se ci sono già 5000 migranti è chiaro che si crea poi
una situazione ingestibile.
D. - C’è chi parla già di uno sbarramento
in mare nei confronti della migrazione …
R. - L’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per rifugiati ha emesso delle linee guida per tutti gli Stati confinanti
alla Libia, esortando gli Stati a tenere aperte le frontiere terrestri e marittime
perché si tratterebbe di un flusso di persone bisognose di protezione. La convenzione
di Ginevra, all’articolo 33, stabilisce chiaramente il principio del non respingimento
di chi ha bisogno di protezione e in questo caso dalla Libia ci sarebbe un flusso
di persone con bisogni umanitari. Un atteggiamento di altro genere sarebbe veramente
qualcosa di non auspicabile.
D. – Quando, poi, sbarramento in mare spesso
significa anche uccidere le persone …
R. - Lo sbarramento in mare, l’interdizione
in mare, è un esercizio pericolosissimo perché chi fugge dalla guerra, chi fugge dalle
persecuzioni, dalle vendette, rischierà il tutto per tutto per mettersi in salvo.
E’ chiaro che non è facile scoraggiare chi dietro ha l’inferno: le persone cercheranno
in ogni modo di mettersi in salvo. Tentare un’operazione di questo genere è ad altissimo
rischio. Invece, quello che noi come Alto Commissariato abbiamo sempre sostenuto è
l’accesso al territorio, l’accesso alla procedura d’asilo. Poi, chi non ha titolo
verrà rimandato indietro sulla base delle norme che prevedono a quel punto, sì, un
decreto di respingimento, ma a terra e dopo un’identificazione.
D. -
Da una parte la strategia di decongestionamento che deve essere rafforzata, dall’altra,
guardando la Tunisia dopo l’uscita di Ben Ali, è necessario ripristinare nuovi accordi
bilaterali per il rimpatrio…
R. - La stragrande maggioranza dei giovani
tunisini che sono arrivati qui sull’isola a Lampedusa è fatta di migranti economici.
Solo un’esigua minoranza ha chiesto asilo: giovani che vogliono trovare un lavoro
e che vogliono mandare i soldi a casa perché temono che con l’instabilità nel Paese
ci sia il crollo del turismo. Lo scopo, la molla che sta dietro il flusso dei tunisini
è essenzialmente economica. Come si risolve? Solo con accordi tra i due Stati, accordi
che devono essere interessanti per entrambi i Paesi. Questo è un passaggio determinante
per regolare anche il flusso, altrimenti ci potremmo trovare in una situazione in
cui molti altri tunisini cercheranno di arrivare in Europa attraverso l’Italia perché
poi la destinazione finale sembra essere la Francia, il Belgio, la Germania, più che
l’Italia.
D. - E’ una via percorribile o è una via necessaria?
R.
- L’accordo con la Tunisia, l’accordo di riammissione, è comunque un passaggio fondamentale
per la gestione del flusso. Penso che un accordo con la Tunisia dovrebbe poter prevedere
anche, eventualmente, uno scambio in termini di accessi legali al territorio, ma chiaramente
le formule dell’accordo stanno veramente agli Stati e ai negoziati che gli Stati potranno
mettere sul tavolo. (bf)