Il Portogallo chiede assistenza finanziaria all'Ue per uscire dalla crisi
Dopo mesi di resistenza e tre giri di vite antideficit, che hanno messo in ginocchio
il Portogallo senza però calmare i mercati, il governo dimissionario di Lisbona del
premier socialista José Socrates ha deciso di chiedere assistenza finanziaria all'Unione
europea. Il prossimo 5 giugno, il Paese andrà alle urne per elezioni politiche anticipate.
Da Lisbona, il servizio di Riccardo Carucci:
Il primo
ministro socialista dimissionario José Socrates aveva persistentemente negato la necessità
di chiedere aiuti esterni, ma ora - incolpando l’opposizione che ha bocciato l’ultimo
piano di austerità provocando le dimissioni del governo minoritario e elezioni anticipate
- ha ammesso che la situazione finanziaria del Paese è talmente grave da imporre il
ricorso all’aiuto dell’Unione europea, il che significa, come nel caso di Grecia e
Irlanda, al Fondo europeo di stabilità finanziaria e al Fondo monetario internazionale
per un possibile montante - secondo cifre avanzate nei giorni scorsi - di 75 miliardi
di Euro o qualcosa di più. In effetti, la situazione era sempre più grave. Interessi
sempre più alti nei prestiti sul mercato internazionale; accanimento delle agenzie
di rating nell’abbassare le quotazioni del Portogallo e delle sue imprese; difficoltà
di controllare il deficit; gravissimi problemi di liquidità delle aziende e dei servizi
pubblici. A tutto ciò si sono aggiunte le banche portoghesi che hanno deciso di non
concedere più credito allo Stato, dimenticando le loro imprudenze e gli aiuti ricevuti.
Essendo il suo un governo limitato all’ordinaria amministrazione, Socrates ha chiesto
tramite il presidente della Repubblica, Anibal Cavaco Silva, l’appoggio di altri partiti.
La principale forza di opposizione, il partito socialdemocratico di centrodestra,
ha già assicurato il proprio appoggio in questo momento difficile attraverso il suo
leader Pedro Passos Coelho, probabile primo ministro dopo le elezioni
del 5 giugno. Ci saranno trattative sulle modalità del prestito, ma certo i portoghesi
non sfuggiranno a una nuova pesante austerità con recessione e più disoccupazione.
La
Banca centrale europea ha deciso di alzare di un quarto di punto il tasso di riferimento
principale in Eurolandia, portandolo all'1,25% dal minimo storico dell'1%. E' la prima
stretta monetaria varata dal Consiglio direttivo da metà del 2008. Intanto, a partire
da stasera la crisi portoghese sarà affrontata dai ministri finanziari europei riuniti
a Budapest. Sulla situazione economica di Lisbona e sui motivi della decisione di
ricorrere agli aiuti internazionali, Giada Aquilino ha intervistato l’economista
Francesco Carlà, presidente di Finanza World:
R. – La decisione
dipende dal fatto che Lisbona non riesce più a finanziarsi a tassi possibili sul mercato
dei capitali, cioè con interessi sostenibili, e quindi ha dovuto alzare bandiera bianca.
D.
– Di fatto, quali procedimenti si innescano?
R. – I procedimenti che
si innescano sono molto semplici: si chiede un finanziamento per avere quegli stessi
denari ad interessi più compatibili, sostenibili. Si parla – ma lo sapremo con certezza
soltanto nelle prossime ore – di circa 60-80 miliardi di Euro per tre anni. Queste
sono le necessità del Portogallo per evitare il default. Probabilmente non basterà,
esattamente come era successo con gli annunci della Grecia. Dovremo vedere se - grazie
ai capitali ottenuti ad interessi più sostenibili dal Paese - la crescita migliorerà
e quindi lo stesso Paese potrebbe far fronte anche da solo, in parte, alle sue esigenze.
Infatti, tra i tentativi che sono stati fatti in questi mesi dal governo c’era soprattutto
il tentativo di agire sulla leva del risparmio dei costi interni, cosa che non ha
funzionato perché alla quarta manovra il governo è caduto.
D. – Il nuovo
governo – quello che uscirà dalle elezioni del 5 giugno – dovrà comunque prevedere
un pacchetto di misure per far fronte alla crisi?
R. – Il problema portoghese
non è tanto quello del deficit, quanto – appunto - quello della scarsa fiducia, in
questo momento, sui mercati finanziari. Questo problema è risolto, nel senso che non
si finanzia più sul mercato normale dei buoni del tesoro, ma su quello “privato” dell’aiuto
europeo e del Fondo monetario. E quindi il Paese potrebbe rimettersi in un corso economico,
approfittando forse anche della ripresa internazionale che potrebbe consentire di
star dentro a questi 60-80 miliardi nei tre anni. Naturalmente, sono tutte ipotesi:
dobbiamo vedere come l’economia portoghese riuscirà a reagire a tali iniezioni di
capitali; e dobbiamo anche tener presente un po’ la depressione, dal punto di vista
psicologico, che il Portogallo dovrà affrontare per essere finito, dopo tanti disperati
tentativi di non entrarci, nel club di quelli che hanno bisogno degli aiuti europei.
Finora in questo club sono entrati Grecia, Irlanda e adesso il Portogallo. I prossimi
potrebbero essere la Spagna e l’Italia.
D. – Ecco: la Spagna esclude
un contagio. Mentre in queste ore è cominciata una fase di “austerity” anche per la
Gran Bretagna …
R. – La Gran Bretagna ha una situazione diversa perché
non è nell’Euro; quindi dovrà cercare di far da sola. Il problema spagnolo è tanto
temuto perché è il famoso “too big to fail”, come si dice; cioè: dopo tre Paesi di
dimensioni – da un punto di vista economico e finanziario, per il livello europeo
– tutto sommato non troppo rilevanti (cioè Grecia, Irlanda e Portogallo), sarebbe
il momento di un’economia molto grande. Quindi l’intervento non sarebbe nell’ordine
di 60-80 miliardi per tre anni, ma sarebbe di entità molto più grande, probabilmente
eccedente anche il budget dei fondi creati dopo la crisi greca. (gf)