Città blindate in Gran Bretagna: operativi 15mila agenti antisommossa
Cinque morti e quasi 1.750 arresti: sono le cifre che segnano il drammatico bilancio
dei disordini che negli ultimi cinque giorni hanno sconvolto la Gran Bretagna. Anche
questa notte è trascorsa senza disordini e senza particolari problemi nelle città
ormai blindate da oltre 15mila agenti in assetto antisommossa. Il governo di Londra
ha stabilito l’istituzione di un fondo per il risarcimento delle vittime degli atti
di vandalismo ed ha promesso il ‘pugno duro’ contro chi si sia macchiato di reati
nel corso della rivolta. Il premier Cameron è arrivato addirittura al punto di minacciare
la chiusura di alcuni social network e l’impiego delle forze armate nelle città più
a rischio. Sentiamo il commento di Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto
Affari Internazionali, intervistato da Stefano Leszczynski:
R. – In realtà,
da quello che sembra, c’è stato un tentativo di intervento della polizia, più che
altro per contrastare la circolazione di opinioni e di informazioni false che accrescevano
la paura nei social network britannici. Probabilmente non è bastato, per cui adesso
si parla di possibili sospensioni temporanee dei media in determinate occasioni. Francamente,
non so se questo funzionerà. Quanto alla militarizzazione delle grandi città, io mi
auguro che Cameron ci ripensi. In realtà, qui dietro c’è una polemica diversa, molto
britannica, collegata alla questione dei tagli di bilancio. Cameron ha proposto un
forte taglio di bilancio delle forze di polizia; probabilmente, l’accenno alla possibilità
di utilizzare le forze armate è anche in polemica con le forze di polizia. In questo
momento, c’è una certa tensione …
D. – Questi incidenti sono, secondo
lei, in qualche modo ricollegabili alla questione dell’immigrazione, dell’integrazione
degli stranieri nella società inglese?
R. – Sicuramente c'è un problema
di integrazione nella società britannica. La società britannica, più che “integrare”
le comunità degli immigrati, le ha “accettate” e in una qualche maniera “isolate”,
con forme addirittura di “autogoverno” all’interno della società. Ha avuto un approccio
empirico che è sembrato funzionare bene per molti anni ma che adesso sembra essere
arrivato alla fine della sua utilità, specialmente perché giovani di seconda o terza
generazione evidentemente non accettano più con tanta facilità l’idea di essere in
qualche modo “ghettizzati”.
D. – Molti hanno fatto il paragone tra quello
che è avvenuto in Inghilterra con quello che qualche anno fa è avvenuto in Francia,
con la rivolta delle banlieues. Secondo lei, questo può avvenire anche in altri grandi
centri urbani dell’Europa?
R. – Io credo che possa avvenire ovunque.
Noi in Italia abbiamo avuto già episodi di violenza più circoscritti. Alcuni, in Inghilterra,
sostengono che poi dietro c’è anche la pressione della società dei consumi: questo
è un fenomeno che io credo sia abbastanza diffuso in tutta Europa.
D.
– Da un punto di vista di gestione politica della società, secondo lei la politica
del “pugno duro” paga o no?
R. – Intendiamoci: di fronte ad una sommossa,
la politica del “pugno duro”, soprattutto se è appoggiata da una forza sufficiente,
paga. Però, ovviamente, paga nel breve termine. Subito dopo va applicata una politica
di migliore risposta sociale. (gf)