Egitto: terzo turno delle parlamentari. In Tunisia udienza del processo a Ben Ali
In Egitto seggi aperti per il terzo turno delle votazioni per la Camera bassa del
Parlamento. Si vota negli ultimi 9 dei 27 governatorati in cui è diviso il Paese,
le urne saranno aperte oggi e domani, il processo elettorale - di cui molti hanno
criticato la farraginosità - terminerà a febbraio (il voto per l'elezione della Camera
alta prenderà il via il 29 gennaio). Le consultazioni, le prime dalla deposizione
del presidente Hosni Mubarak, lo scorso anno, vedono l’affermazione del partito Giustizia
e Libertà, braccio politico di Fratelli Musulmani. La formazione ha infatti conquistato
le prime due tornate elettorali con circa il 40% dei voti. Il numero due dello schieramento,
Rashad Bayoumi, ha annunciato che Israele non sarà mai riconosciuto e che il trattato
di pace firmato nel 1979 sarà sottoposto a referendum. Secondo partito è al momento
Al Nour, espressione dei salafiti. Intanto in Tunisia oggi si tiene l’udienza del
processo contro l'ex presidente Zine El Abidine Ben Ali e altri alti rappresentanti
governativi per la morte di 43 manifestanti durante le proteste di piazza antiregime.
Sulle consultazioni in Egitto Massimiliano Menichetti ha intervistato Francesca
Corrao, docente di lingua e cultura araba all’Università Luiss:
R. – Queste
elezioni non sono di fatto molto importanti, perché in realtà chi scriverà la Costituzione
che sarà poi votata da un referendum, a giugno, saranno 100 rappresentanti scelti
tra intellettuali, professionisti e parlamentari. Direi quindi che più che preoccuparci
di questa “scheggia” - come si potrebbe definire secondo la vecchia politica – dell’estremismo
salafita, dovremmo evidenziare la crucialità di quest’anno e le elezioni del prossimo,
quando cioè si voterà con la nuova Costituzione. Il Paese, ha comunque tutto il tempo
e tutte le carte per poter dare segno di un’importante svolta democratica, come ha
già dato la piazza nel corso di questi mesi.
D. – In questo scenario
il numero due dei fratelli musulmani, Rashad al-Bayoumi, ha annunciato che Israele
non sarà mai riconosciuto e che il trattato di pace firmato nel 1979 sarà sottoposto
a referendum…
D. – E’ un’opinione che di certo preoccupa. Credo però
che questo sia un momento particolare e dovremo quindi muoverci per conoscere meglio
quella che è la realtà egiziana. Questa realtà ci ha dimostrato, nel corso di un anno,
quanti partiti siano emersi e quanta voglia ci sia di creare dibattito, di allearsi,
come ha fatto in un primo momento l’Alleanza democratica, dove erano andati a confluire
i gruppi più conservatori e più secolari o anche il blocco egiziano. Ci sono molti
partiti in realtà. Certamente si fa fatica ad orientarsi nel passaggio da una dittatura
rigida ad un’apertura al dialogo, dove però c’è anche, come sempre, chi ha voce perché
ha i soldi per poter fare propaganda.
D. – Lei dice quindi che uno dei
rischi è che vengano messe in evidenza delle frasi, magari di contrasto, rispetto
ad una realtà che si sta evolvendo?
R. – Esatto. Cerchiamo di seguire
l’evoluzione, di sostenerla e cerchiamo anche di mettere ai margini le frasi di contrasto
o le espressioni di rottura piuttosto che di armonizzazione. Ci siamo tutti stupiti
per le contestazioni di piazza e questo perché erano 10 anni che l’Egitto era associato
solo a terrorismo e arabi estremisti e fanatici. Poi, però, si è scoperto che a piazza
Tahrir c’erano pacifisti, musulmani e cristiani che pregavano insieme, nel reciproco
rispetto. Quella che vediamo in Egitto è una realtà in forte evoluzione e bisogna
fare attenzione a cosa si mette in evidenza.
D. – Ieri è ripreso il
processo all’ex presidente egiziano, Mubarak, per la repressione armata contro le
proteste dello scorso inverno. Oggi udienza anche per l‘ex presidente tunisino, Bel
Ali, sempre per la morte di dissidenti…
R. – Sono processi-simbolo ed
ovviamente affermano voglia di rispetto per le istituzioni e per i diritti. Poi è
ovvio: tutto dipende da come andranno a finire i processi stessi, se saranno o meno
delle farse. La cosa certa è che in tutte le transizioni dalle dittature alle democrazie,
elementi di incontro e scontro come quello sugli scranni di un tribunale hanno messo
alla prova la capacità di un popolo di dimostrare la propria crescita e maturità in
senso democratico. Il percorso è certamente lungo, tuttavia questo è un segno molto
importante.
D. – Dunque che cos’è, ad oggi, la primavera araba?
R.
– La rivoluzione araba ha segnato una stagione fondamentale, è stata un punto di non
ritorno, a dimostrazione che c’è voglia di democrazia, di libertà, di dialogo e di
giustizia. E’ noto che il passaggio dalla dittatura alla democrazia richiede dei tempi
lunghi e questi si costruiscono attraverso il dialogo e la cooperazione, la conoscenza
e soprattutto l’interazione proficua, com’era già stato fatto in precedenza tra le
varie sponde del Mediteranneo. Credo che l’Unione del Mediterraneo, di cui si parla
tanto, debba portare avanti quella che è stata una cooperazione importante e promuoverla
ulteriormente. (vv)