In Australia, sì ai pacchetti di sigarette anonime. Oms: decisione storica
L’Alta corte australiana ha stabilito che non è contraria alla Costituzione la legge
che prescrive che, dal primo dicembre prossimo, i pacchetti di sigarette siano venduti
in Australia in confezioni anonime che riportino immagini scioccanti dei danni provocati
dal fumo. La pronuncia era attesa anche in altri Paesi come Gran Bretagna, Norvegia,
Canada e India che stanno pensando a legiferare in tal senso. Sulla possibile efficacia
di questa misura di deterrenza psicologica, Marco Guerra ha chiesto un parere
al dott. Riccardo Pistelli responsabile del servizio di Fisiopatologia Respiratoria
- Ambulatorio Tabagismo dell’Università Cattolica di Roma:
R. - Questo
tipo di decisione sicuramente viene percepito in modo molto pericoloso dalle multinazionali
del tabacco, le quali non avevano nessun problema, per esempio, rispetto a tutti i
messaggi di tipo razionale come: il fumo fa male, il fumo uccide, il fumo danneggia
gravemente la salute. Questo, anzi, era visto molto favorevolmente da chi produce
le sigarette, perché eliminava la possibilità che ci fossero dei contenziosi legali
basati sul fatto della non informazione. Al contrario, questo tipo di proibizione
rispetto al marchio, sposta l’attenzione su un campo di tipo completamente emozionale,
suggestivo, togliendo al consumatore alcuni elementi importanti per il consumo, e
questo sicuramente costituisce un elemento di novità. È auspicabile che, qualora se
ne dimostri l’efficacia, poi, questo provvedimento venga esteso anche in Europa.
D.
- Diciamo che viene meno l’appeal del pacchetto e della sigaretta stessa?
R.
- Sicuramente. Basta pensare cosa ha fatto del suo logo la più grande multinazionale
del tabacco, presente, ad esempio sulle moto da corsa, sulle automobili di Formula
uno, su oggetti di vestiario, scarpe, cinture, cappelli ... Un colore e un logo sono
estremamente importanti. Questo sicuramente è un elemento molto interessante dal punto
di vista della novità dell’approccio, e potrebbe essere efficace. Sicuramente è molto
temuto: su questo non ci sono dubbi.
D. - Dalle sue osservazioni, può affermare
che le politiche proibizioniste riescono a ridurre la diffusione del tabagismo?
R.
- Diciamo che esiste una serie di politiche che possono essere – comunque - di tipo
dissuasivo. L’esempio classico è quello italiano che proibisce il fumo all’interno
dei locali dove una volta si poteva fumare, sui treni … Molti fumatori acquisiscono
- attraverso questa necessità imposta di non fumare in alcuni ambienti e per alcune
ore - la consapevolezza della possibilità di non fumare. Alcuni smettono, altri si
rendono conto della possibilità di poter non fumare, e questo può essere sicuramente
utile. Nei fatti, ha ridotto significativamente il numero dei fumatori.
D.
- Come operatori sanitari in contatto con i consumatori di tabacco, cosa chiedete
al legislatore?
R. - Chiediamo coerenza in tutte le scelte che fa. In Italia,
negli ultimi anni c’è stata una notevole coerenza che credo bisognerebbe estendere
- per esempio - a ciò che riguarda tutte le attività del servizio nazionale che dovrebbero
essere rivolte a questo obiettivo, e che attualmente trovano riscontro soltanto nei
piani sanitari regionali, senza che però ci sia alcuna traduzione di questo in termini
operativi. Ad esempio, tutto ciò che viene fatto come unità contro il tabagismo, viene
fatto nella stragrande maggioranza dei casi come volontariato. Ancora, un’altra cosa
che può essere fatta è porre molta attenzione al costo delle sigarette, una cosa che
può sembrare banale; ma un costo più elevato, sicuramente riduce la quantità di fumo.
Comunque, anche se fa male fumare anche una sola sigarette, è molto meglio fumarne
una che fumarne dieci. E quindi ci sono una serie di elementi che possono essere aggiunti
a quelle politiche che sono state fatte negli ultimi anni e che hanno portato a risultati
sicuramente positivi.