Svimez: aumenta la disoccupazione, ma i giovani del Sud possono aiutare l’Italia ad
uscire dalla crisi
Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione reale è del 25,6%, il Pil nel 2012 calerà
del 3,5% e gli investimenti subiranno un decremento del 13,5%. Le manovre anticrisi
del 2010 e del 2011 pesano per 1,1 punti percentuali sul Pil nazionale e per 2,1 al
Sud. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria
nel Mezzogiorno (Svimez), presentato ieri a Roma. Per conseguire l’obiettivo del ritorno
alla crescita – scrive il presidente italiano Giorgio Napolitano – occorre una “politica
di rigore che deve coinvolgere tutti i ceti sociali, a cominciare dai ceti più abbienti”.
Sull’economia e le prospettive del Mezzogiorno si sofferma al microfono di Amedeo
Lomonaco il vicedirettore dello Svimez, Luca Bianchi:
R. – In un quadro
nazionale molto difficile, il Sud ha pagato la crisi economica in maniera assai più
rilevante. Con la recessione del 2012, ormai conclamata che porterà ad una riduzione
del 3% circa del Pil meridionale, il Pil alla fine della crisi avrà perso oltre il
10 per cento a livello complessivo. Vuol dire che siamo tornati ai livelli del 2000.
D.
- E cresce poi il divario tra Nord e Sud…
R. – Nel Sud è stato molto più forte
l’impatto sui redditi delle famiglie e, soprattutto, sul mercato del lavoro, con una
riduzione di oltre 350 mila posti, una diminuzione che riguarda quasi esclusivamente
la componente di 15-34 anni. In realtà ci stiamo giocando un pezzo importante di una
generazione che è completamente esclusa dal mercato del lavoro ed è quella generazione
che invece aveva studiato di più. Aveva colmato il gap con il centro nord in termini
di tasso di scolarità.
D. – Quindi, nonostante questi dati non confortanti,
l’obiettivo del ritorno alla crescita economica dell’Italia è possibile, proprio perché
c’è questo potenziale - purtroppo ancora inespresso - di giovani che hanno un’alta
qualifica, anche al Sud…
R. – Probabilmente proprio la possibilità di crescita
complessiva del Paese passa inevitabilmente anche attraverso la capacità di mettere
in circolo le risorse del Mezzogiorno, appunto risorse umane importanti. I ragazzi
meridionali, lo vediamo quando vanno all’estero, hanno grandi risultati. Quando vanno
nel centro nord hanno buoni risultati. Inoltre c’è un grande potenziale energetico.
Abbiamo sia un potenziale energetico tradizionale con il petrolio, in Basilicata,
sia in termini di energia rinnovabile. C’è anche un potenziale di attrazione turistico
e culturale. Noi abbiamo stimato oltre 150 mila posti di lavoro che si possono creare
nell’industria culturale del Mezzogiorno nei prossimi anni. Serve un progetto di sviluppo
complessivo, serve riorientare le risorse pubbliche. Noi abbiamo i fondi strutturali
che sono spesso distribuiti in maniera ‘molto larga’, cioè un po’ per uno, ma in realtà
non ci sono priorità ben identificate. Noi crediamo che, utilizzando bene quelle poche
risorse pubbliche che ci sono, rivitalizzando il sistema meridionale, si possono cogliere
delle opportunità che soprattutto al Sud in questa fase ci sono e possono aiutare
l’intera Italia a uscire dalla crisi.
D. – E soprattutto arginare questa emorragia
dovuta alla disoccupazione?
R. – I dati ancora una volta quest’anno sulla ripresa
di queste immigrazioni altamente scolarizzate sono fortissimi. Parliamo di 600 mila
ragazzi, cioè giovani di 15-34 anni che negli ultimi 10 anni hanno abbandonato il
Mezzogiorno. Ne abbiamo altri 170 mila, che pur mantenendo la residenza al Sud, lavorano
nelle regioni del centro nord, o sempre più, all’estero. Quella è un’emorragia che
sta incidendo proprio sulle componenti strutturali della popolazione: rischiamo di
avere paradossalmente il Sud che è l'area più giovane d’Italia, l’area dove diventa
più veloce l’invecchiamento, perché i giovani se ne vanno e rimangono gli anziani,
peraltro, da sostenere. Quindi è un modello di sviluppo che non può funzionare. Le
tante esperienze positive che esistono, sia pur piccole, sia pur nel Mezzogiorno -
cioè imprese innovative che competono in tutto il mondo, la crescita recente delle
esportazioni delle regioni meridionali che è più forte che al centro nord - dimostrano
che esistono dei potenziali, esistono già imprese competitive, esistono amministrazioni
che funzionano. Il problema è che non fanno massa critica, non riescono a mettersi
in rete e non riescono a essere sostenute. Dobbiamo guardare a quelle realtà per ricostruire
un processo di crescita. Ultimo aggiornamento: 27 settembre