Il patriarca Twal: cresce il fanatismo religioso in Medio Oriente, non lasciateci
soli!
Le speranze e le difficoltà della piccola comunità cristiana di Terra Santa: ne ha
parlato al Sinodo il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. Paolo
Ondarza gli ha chiesto perché per trasmettere la fede al mondo contemporaneo -
come ha detto nel suo intervento - è importante riscoprire la Terra Santa:
R. – Perché
la fede è nata là, è cominciata là. Là è stata genuina, là è stata forte. La causa
era Gesù stesso e per questa causa i discepoli, tutti i fedeli, erano disposti anche
a morire. La domanda che oggi rivolgo a noi, ai nostri giovani, ai nostri sacerdoti
è: abbiamo o non abbiamo una causa per la quale lottare, per la quale sperare, per
la quale essere disposti a morire? Io ho paura della monotonia della vita cristiana.
D.
– L’esempio della prima comunità cristiana di Gerusalemme può servire da modello per
rinnovare la Chiesa di oggi?
D. – Sì, l’ha detto il Santo Padre: la comunità
cristiana di Gerusalemme è il modello. Il modello perché era assidua nella preghiera,
nella frazione del pane e nella carità. Il servizio ai fratelli può assumere molteplici
forme. Così accade in Terra Santa: ospedali della Caritas, scuole che formano i giovani
a dialogare tra loro ebrei, musulmani, cristiani… Ecco perché dico che tutto deve
ripartire dalla Terra Santa.
D. – Nonostante la centralità che la Terra Santa
riveste, oggi se ne parla poco. Eppure questa terra continua ad essere lacerata da
violenza, da ingiustizia e insicurezza?
R. - E’ vero, se ne parla poco perché
il focus, l’attenzione mondiale è ormai concentrata verso la Siria. Ma anche se politicamente,
per il momento, siamo messi da parte, non possiamo tacere la realtà della ricchezza
della Terra Santa.
D. – I cristiani della Terra Santa come vivono la nuova
evangelizzazione?
R. - Quello che è nuovo è il contesto in cui viviamo. Infatti,
il contesto nuovo per la Terra Santa è disegnato dalla primavera araba. Questo fenomeno
lo definisco come un vero caos: c’è infatti tanto fanatismo religioso, musulmano
ed ebraico, l’uno peggio dell’altro, che sta crescendo. Noi cristiani di Terra Santa
è qui che dobbiamo vivere, queste sono le sfide che dobbiamo raccogliere. Per questo
ho chiesto stamattina a tutti i confratelli al Sinodo di pensare a noi, di pregare
per noi, perché, francamente, non amiamo essere soli. Parlando dell’Italia, poi, posso
ripetere che l’Italia è stata la più vicina a noi e di questo sono molto grato.
D.
– L’emigrazione dei cristiani è dovuta alla paura: sono spaventati da quanto sta accadendo,
dai mutamenti politici dei Paesi del Medio Oriente, dall’insicurezza che sempre più
si respira?
R. – Sì… Io sempre invito i cristiani a rimanere nonostante tutto
perché la nostra presenza è una missione. Tuttavia tanti non ascoltano i miei appelli
e decidono di partire. Non vedono alcun futuro possibile, né alcuna speranza di pace.
Io li capisco, capisco le preoccupazioni per i loro figli… Peccato, ma dobbiamo accettare
la loro decisione.
D. – Il pellegrinaggio in Terra Santa invece può essere
un incoraggiamento per loro?
R. – Sì, certamente i pellegrinaggi danno l’impressione
che non siamo soli. Se nei numeri siamo una minoranza, con tanti pellegrini diventiamo
una maggioranza assoluta! I pellegrini ci trasmettono il sentimento che tutta la Chiesa
è con noi, vengono a pregare con noi e per noi, per la pace, per tutti gli abitanti
della Terra Santa!