2012-11-02 13:18:17

Il Congresso del partito comunista cinese e le nuove sfide del gigante asiatico


Al via l’8 novembre il 18.mo Congresso del Partito comunista cinese. Più di 2.200 delegati da tutto il Paese arriveranno a Pechino, in quella che vuole essere una manifestazione di armonia, potenza e unità. Ma dietro le quinte la battaglia per la successione si è già dimostrata aspra. Quelli che usciranno, infatti, da questo Congresso, saranno i leader che guideranno per i prossimi dieci anni la seconda potenza economica mondiale. Salvatore Sabatino ha chiesto a Fernando Mezzetti, esperto di questioni cinesi, chi sono i più accreditati alla guida del gigante asiatico:RealAudioMP3

R. –I più accreditati sono sicuramente Li Keqiang, come primo ministro, e Xi Jinping, come capo del partito. Va detto, però, che le cariche statali saranno regolate a primavera prossima dall’Assemblea del popolo. C’è stata una dura lotta interna per decidere questa successione, che però - secondo me - avverrà in modo tranquillo e senza traumi.

D. – Una delle lotte più aspre ha riguardato il neo-maoista Bo Xilai, ex leader comunista, che sembrava destinato a salire ai massimi vertici, ma è stato ora espulso dal partito e dal parlamento, ed è in attesa di processo per corruzione e abuso di potere. Quanto influirà questo caso?

R.– Ha già influito. Bo Xilai puntava sul malcontento, sull’insoddisfazione, sulle rabbie sociali che si sono create in Cina con le riforme e le disparità sociali. Aveva ripescato rituali e tecniche del potere maoista: inni della rivoluzione culturale, processi di massa per la lotta alla corruzione. Tutto in contrasto con questa dirigenza e gran parte del partito, che ha invece una linea riassumibile nello slogan della “società armoniosa”, non nella lotta di classe. Quindi, a questa opposizione, impersonata da Bo Xilai, non hanno dato neanche la dignità di interlocutore politico: lui è stato liquidato come esponente di una corruttela, di latrocinio e di abusi di potere, cioè crimini comuni. Questo dimostra che la dirigenza è determinata ad andare avanti sulla strada che hanno intrapreso: approfondire le riforme, migliorare il sistema economico, ma non credo che con la parola riforme possiamo intendere gli sbocchi di una società politicamente pluralista.

D. – Il modello produttivo diretto verso l’esportazione comincia a mostrare i primi cedimenti, con la crisi che impatta fortemente su questo gigante asiatico. Come verrà giocata la sfida economica?

R. – Loro, fino ad ora, hanno sviluppato molto le infrastrutture; dovranno d’ora in poi, concentrarsi sullo sviluppo dei consumi individuali, o altri tipi di consumi collettivi, che possono certamente essere i sistemi previdenziali. Non dimentichiamo che gran parte della Cina è rurale ed il mondo contadino – cioè almeno 700 milioni di persone – non ha previdenze sociali. Quindi, cercheranno di mantenere lo sviluppo, puntando sull’intervento pubblico e sulle previdenze sociali, che si possono riassumere in consumi interni di diversa natura.

D. – La Cina, dal punto di vista geopolitico, è diventata sempre più una presenza ingombrante in Asia. La nuova classe dirigente sarà più sensibile ai rapporti di buon vicinato, o no?

R. – Certo, saranno più sensibili ai rapporti di buon vicinato, ma vorranno sempre imporre quello che è la Cina. Già i cinesi hanno un fortissimo senso di identità: il grande e rapido sviluppo economico – uno dei grandi eventi della fine del secolo scorso e dell’inizio di questo secolo – stimola la fierezza e l’orgoglio nazionale. C’è poco da fare. La Cina di ieri era un Paese piegato dal sottosviluppo; la Cina di oggi, che è fiera di questo grande sviluppo, incombe su metà del continente asiatico, non più soltanto come massa geografica e demografica. Incombe anche e soprattutto come massa economica e come potenza regionale, anche militare, che cerca una proiezione più larga.







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