Il Congresso del partito comunista cinese e le nuove sfide del gigante asiatico
Al via l’8 novembre il 18.mo Congresso del Partito comunista cinese. Più di 2.200
delegati da tutto il Paese arriveranno a Pechino, in quella che vuole essere una manifestazione
di armonia, potenza e unità. Ma dietro le quinte la battaglia per la successione si
è già dimostrata aspra. Quelli che usciranno, infatti, da questo Congresso, saranno
i leader che guideranno per i prossimi dieci anni la seconda potenza economica mondiale.
Salvatore Sabatino ha chiesto a Fernando Mezzetti, esperto di questioni
cinesi, chi sono i più accreditati alla guida del gigante asiatico:
R. –I più accreditati
sono sicuramente Li Keqiang, come primo ministro, e Xi Jinping, come capo del partito.
Va detto, però, che le cariche statali saranno regolate a primavera prossima dall’Assemblea
del popolo. C’è stata una dura lotta interna per decidere questa successione, che
però - secondo me - avverrà in modo tranquillo e senza traumi.
D. – Una delle
lotte più aspre ha riguardato il neo-maoista Bo Xilai, ex leader comunista, che sembrava
destinato a salire ai massimi vertici, ma è stato ora espulso dal partito e dal parlamento,
ed è in attesa di processo per corruzione e abuso di potere. Quanto influirà questo
caso?
R.– Ha già influito. Bo Xilai puntava sul malcontento, sull’insoddisfazione,
sulle rabbie sociali che si sono create in Cina con le riforme e le disparità sociali.
Aveva ripescato rituali e tecniche del potere maoista: inni della rivoluzione culturale,
processi di massa per la lotta alla corruzione. Tutto in contrasto con questa dirigenza
e gran parte del partito, che ha invece una linea riassumibile nello slogan della
“società armoniosa”, non nella lotta di classe. Quindi, a questa opposizione, impersonata
da Bo Xilai, non hanno dato neanche la dignità di interlocutore politico: lui è stato
liquidato come esponente di una corruttela, di latrocinio e di abusi di potere, cioè
crimini comuni. Questo dimostra che la dirigenza è determinata ad andare avanti sulla
strada che hanno intrapreso: approfondire le riforme, migliorare il sistema economico,
ma non credo che con la parola riforme possiamo intendere gli sbocchi di una società
politicamente pluralista.
D. – Il modello produttivo diretto verso l’esportazione
comincia a mostrare i primi cedimenti, con la crisi che impatta fortemente su questo
gigante asiatico. Come verrà giocata la sfida economica?
R. – Loro, fino ad
ora, hanno sviluppato molto le infrastrutture; dovranno d’ora in poi, concentrarsi
sullo sviluppo dei consumi individuali, o altri tipi di consumi collettivi, che possono
certamente essere i sistemi previdenziali. Non dimentichiamo che gran parte della
Cina è rurale ed il mondo contadino – cioè almeno 700 milioni di persone – non ha
previdenze sociali. Quindi, cercheranno di mantenere lo sviluppo, puntando sull’intervento
pubblico e sulle previdenze sociali, che si possono riassumere in consumi interni
di diversa natura.
D. – La Cina, dal punto di vista geopolitico, è diventata
sempre più una presenza ingombrante in Asia. La nuova classe dirigente sarà più sensibile
ai rapporti di buon vicinato, o no?
R. – Certo, saranno più sensibili ai rapporti
di buon vicinato, ma vorranno sempre imporre quello che è la Cina. Già i cinesi hanno
un fortissimo senso di identità: il grande e rapido sviluppo economico – uno dei grandi
eventi della fine del secolo scorso e dell’inizio di questo secolo – stimola la fierezza
e l’orgoglio nazionale. C’è poco da fare. La Cina di ieri era un Paese piegato dal
sottosviluppo; la Cina di oggi, che è fiera di questo grande sviluppo, incombe su
metà del continente asiatico, non più soltanto come massa geografica e demografica.
Incombe anche e soprattutto come massa economica e come potenza regionale, anche militare,
che cerca una proiezione più larga.