Zamagni: ripensare il modello di sviluppo, straordinaria eredità di Benedetto XVI
Una delle eredità che lascia Benedetto XVI è l’Enciclica “Caritas in Veritate”, pubblicata
nel giugno 2009, in cui enumera alcune distorsioni dello sviluppo: “un'attività finanziaria
mal utilizzata e per lo più speculativa – scrive il Pontefice – gli imponenti flussi
migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente gestiti, lo sfruttamento
sregolato delle risorse della terra”. E’ un messaggio particolarmente attuale in questo
momento di crisi economica. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Stefano
Zamagni, docente di Economia Politica presso l’Università di Bologna:
R. – Ovviamente,
la notizia mi ha molto colpito, ma ne comprendo le ragioni profonde. Questo Papa sarà
certamente ricordato ora, come è ovvio, ma anche per lungo tempo nel futuro perché
ha aperto un nuovo ciclo nella Dottrina sociale della Chiesa. Potremmo dire che come
la "Centesimus Annus" del Beato Giovanni Paolo II chiude il ciclo della modernità,
la "Caritas in Veritate" apre quel ciclo della cosiddetta post-modernità, cioè di
una società che deve fare i conti con quei due fenomeni di portata epocale che sono
da un lato la globalizzazione e dall’altro la rivoluzione delle nuove tecnologie:
le tecnologie infotelematiche. Bene, con la "Caritas in Veritate", Benedetto XVI dimostra
il suo acume, la sua capacità di "intelligere", cioè di guardare dentro le cose e
di capire perché è giunto il momento di non più mettere pezze di un tipo o dell’altro
ai malfunzionamenti e del mercato e dello Stato, come è stato fatto in generale finora,
ma di ripensare sia il modello di sviluppo – non per nulla il sottotitolo dell’Enciclica
è: “Per uno sviluppo umano integrale”, dove la parola chiave è l’ultima, integrale
– e dall’altro, di rivedere anche i modi con cui il mercato come istituzione socio-economica
funzioni e di modificare le relazioni di potere che nel mercato si agitano. In questo
caso, l’Enciclica esce nel 2009: a fine giugno del 2009, la crisi economico-finanziaria
era da poco iniziata ma il Papa dimostra di avere colto il nucleo fondamentale di
questa crisi, e cioè l’incapacità di dirigere le risorse – in questo caso finanziarie
– verso l’obiettivo del bene comune.
D. – C’è un altro passaggio, particolarmente
importante, di questa Enciclica, quando il Pontefice evidenzia che le cause del sottosviluppo
non sono primariamente di ordine materiale, ma sono da ricercare innanzitutto nella
volontà, nel pensiero e ancor più nella mancanza di fraternità tra gli uomini ed i
popoli …
R. – Esatto! Questa, infatti, è l’altro elemento caratteristico. Innanzitutto,
il capitolo terzo dell’Enciclica reca per titolo: “Fraternità, sviluppo …”: questa
è la prima volta che appare ufficialmente in una Enciclica di Dottrina sociale della
Chiesa. Le altre, quelle precedenti, tendevano a parlare piuttosto di solidarietà.
Il Papa dice: “La fraternità è molto, ma molto più forte della solidarietà”, nel senso
che una società fraterna è anche solidale, e viceversa non è vero. L’altro è che oggi
la povertà, la miseria, gli sfruttamenti non sono conseguenza della scarsità di risorse,
come era ad esempio all’epoca di Leone XIII con la Rerum Novarum, ma queste situazioni
che gridano vendetta in alcuni casi sono la conseguenza sia della mancanza di fraternità,
e quindi una crisi spirituale intesa in questo senso, sia del fatto che le istituzioni
economiche, cioè le regole del gioco economico sono obsolete, in certi casi, e sbagliate
in altri casi. Ecco perché il Papa dice: “La povertà c’è sempre stata, però un conto
è essere poveri quando manca il pane, mancano le risorse di base; altro conto è tenere
le persone nella povertà pur nell’abbondanza, solo perché le istituzioni che sono
quelle che regolano il trasferimento dei beni, dei servizi e in generale delle ricchezze,
funzionano con effetti perversi.
D. – Al di là dell’enciclica Caritas in Veritate,
Benedetto XVI ha poi detto, in numerosi discorsi, che la crisi economica si fonda
su una crisi etica. Qual è l’impulso che ha dato e che potrà dare in futuro, con questo
suo messaggio?
R. – Questo Papa ha spiegato, soprattutto agli economisti –
dimostrando di avere probabilmente un acume superiore a tanti di essi – che le crisi
sistemiche sono di due tipi: dialettiche, le une, e entropiche, le altre. Le crisi
dialettiche sono quelle che discendono da un conflitto, di un tipo o dell’altro; e
in qualche modo, superato il conflitto si supera la crisi. Quella di oggi è una crisi
entropica, cioè una crisi di senso: entropica vuol dire questo. Quando la società
nel suo complesso, e in particolare la sfera economica al suo interno, perde il senso,
che vuol dire la direzione di marcia, non sa più dove andare; quando cioè la finanza
diventa fine a se stessa; quando il gioco economico è guidato dall’avidità e via discorrendo.
Ecco perché il messaggio non solo nell’Enciclica, ma nei documenti successivi, è importante.
Si rivolge a tutti: ai politici, agli uomini di scienza e agli operatori. “Badate
– dice il Papa – non pensiate che aggiustando quell’aspetto tecnico su un fronte o
sull’altro, che pure è necessario, uscirete dalla crisi. Infatti, poiché la crisi
è di natura entropica bisogna ridare senso. Se noi non troviamo un senso nuovo, una
direzione di marcia nuova, fra un po’ di anno ritorneremo ad una situazione – mutatis
mutandis – analoga”. Ecco perché il contributo che ha dato questo Papa rimarrà per
lungo tempo a venire.