Nuove stragi in Siria. Usa e Gran Bretagna sostengono l'opposizione
Siria. Gli attacchi condotti la settimana scorsa dall’artiglieria del regime contro
la città di Aleppo avrebbe provocato la morte di 140 persone, tra le quali 70 bambini.
La denuncia arriva dall'organizzazione “Human Rights Watch”. Intensi scontri armati
tra forze lealiste e ribelli, intanto, sono in corso oggi nella città vecchia di Aleppo,
non lontano dalla Grande Moschea. Lo riferiscono i Comitati locali di coordinamento
degli attivisti che confermano quanto riportato dalla tv di Stato siriana. Le informazioni
però non possono essere verificate in modo indipendente. Una situazione terribile,
che ha spinto Stati Uniti e Gran Bretagna a convincere il capo dell’opposizione siriana
al Khatib a partecipare al vertice internazionale sulla Siria che si terrà a Roma,
giovedì. Washington e Londra si sono impegnate a sostenere la transizione e a tutelare
i cittadini siriani; ma riusciranno a sbloccare una situazione di impasse totale sul
fronte diplomatico? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Farian Sabahi,
docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Torino:
R. - Washington
e Londra riusciranno a sbloccare l’impasse con una serie di condizioni: dovranno fornire
aiuti concreti all’opposizione e alla popolazione civile per alleviarne le sofferenze
e per ottemperare alle condizioni poste da Al Khatib, capo dell’opposizione siriana.
Al tempo stesso, Washington e Londra dovranno operare sul fronte della diplomazia
internazionale affinché vengano meno in Siria le interferenze dei tanti, diversi Paesi
interessati invece ad un’escalation di violenza.
D. - La Russia, da parte sua,
sembra lentamente sfilarsi dall’alleanza con Assad. Quanto questo indebolisce oggettivamente
il regime?
R. - Il Cremlino è mosso in primis dal pragmatismo. Ormai, in Siria
non è esclusa una vittoria dell’opposizione: i russi non possono compromettersi oltre
e non possono rischiare di avere cattivi rapporti con il governo del dopo-Assad e
con il resto del mondo arabo. Questo allontanamento di Mosca indebolisce però il regime
di Assad e, al tempo stesso, lo rende più dipendente che mai dall’Iran. Sembra, ad
esempio, che siano ormai le autorità iraniane a pagare addirittura gli stipendi dei
dipendenti pubblici siriani, quindi, non solo aiuti militari, ma anche aiuti concreti
in denaro.
D. - Intanto, crescono le violenze sul campo e il rischio di regionalizzazione
della guerra siriana, che potrebbe coinvolgere l’intero scacchiere mediorientale.
Quali sono, secondo lei, i pericoli più imminenti?
R. - La guerra siriana
rischia di avere conseguenze enormi per l’intera regione, perché si ipotizza la divisione
della Siria su base etnica, oppure su base religiosa: agli alawiti dovrebbe andare
la zona di Latachia, ai sunniti quella di Damasco, ai curdi - che si trovano principalmente
nel nordest - la possibilità di unirsi agli altri curdi di Iraq, Iran e Turchia. Uno
scenario che ovviamente fa paura sia ad Ankara, sia a Theeran e rischia di stravolgere
l’intero Medio Oriente. Dobbiamo riflettere su chi ha interesse a questa divisione,
in parte settaria, in parte religiosa, che non farebbe altro che indebolire degli
Stati-Nazione.
D. - A proposito di queste divisioni, c’è chi teme che dopo
Assad si possa scatenare una guerra interna, ancora più feroce, fatta da vendette
tra le comunità. Come si può risolvere questo problema, secondo lei?
R. - Molto
dipende dalle soluzioni che verranno trovate dal governo post-Assad e per capire il
presente occorre leggere la storia, anche quella recente. Guardiamo, per esempio,
cosa è successo nello Yemen: sono stati lasciati, in alcuni posti chiave, uomini e
parenti del presidente uscente, Ali Abdullah Saleh, e questo ha dato fastidio all’opposizione
più dura, all’opposizione più radicale - pensiamo al Nobel per la pace yemenita, Tawakkul
Karman. Questo però ha fatto il gioco degli Stati Uniti, che hanno insistito affinché
in posizioni chiave come quelle nella lotta al terrorismo rimanessero i nipoti del
presidente Saleh, perché sono utili in quella determinata collocazione, per via di
un’esperienza e comunque di un legame con Washington. Ci vorrà tempo per capire se
questa è stata o meno la soluzione migliore.
D. - Su una cosa non ci sono dubbi:
dopo questa guerra civile, la Siria non sarà più la stessa. Da cosa si potrà ripartire
per una rinascita del Paese?
R. - Innanzitutto, bisognerà fare chiarezza proprio
dal punto di vista giuridico sulle responsabilità della violenza. In seconda battuta,
bisognerà rilanciare l’economia siriana e questo sarà molto difficile dal momento
in cui si vorrà escludere a priori l’attore principale dell’economia siriana, cioè
l’Iran. Iran che è sotto sanzioni internazionali da ormai più di 30 anni e proprio
per queste sanzioni ha investito pesantemente a Damasco. Non è con l’esclusione a
priori di Teheran, che si riesce a tenere calmo il Medio Oriente.