Diplomazie in stallo sulla Siria in attesa della Conferenza di pace a Ginevra
La Siria è pronta a collaborare con Ankara ad una inchiesta comune e trasparente sul
duplice attentato che sabato scorso ha provocato una cinquantina di morti nel sud
della Turchia, a tre chilometri dal confine siriano, e per il quale sono state fermate
13 persone. Di una prossima vendetta “in modo proporzionato” ha parlato il premier
turco Erdogan, confermando che le indagini portano a un gruppo turco legato al regime
di Damasco. Il regime siriano, nel frattempo, aspetta di conoscere i dettagli della
Conferenza di pace, forse a Ginevra i primi di giugno, prima di decidere se aderire
o meno, mentre un nuovo vertice dei cosiddetti “Amici della Siria” si terrà la prossima
settimana ad Amman, in Giordania, proprio per preparare l’appuntamento di Ginevra.
Francesca Sabatinelli ha intervistato Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto
per gli studi di politica internazionale:
R. - Evidentemente,
non è ancora chiaro in cosa consisterà questa Conferenza internazionale: non è chiaro,
per esempio, quali saranno le differenze con l’attuale consesso internazionale che
è quello degli “Amici della Siria”, e non è ancora chiaro neanche quali saranno i
veri protagonisti e i partecipanti a questa Conferenza. Il Comitato nazionale siriano,
che un po’ raggruppa tutti i ribelli contro il regime di Assad, ha fatto chiaramente
intendere che qualora non fosse reso esplicito nelle intenzioni di questa Conferenza
di cacciare Assad, o comunque di immaginare un futuro senza Assad per la Siria, non
è disposto a partecipare.
D. - Che è poi la posizione della Turchia e di alcuni
Paesi arabi, come l’Egitto, l’Arabia Saudita e il Qatar: nessuno intende accettare
una transizione politica in Siria con la presenza di Bashar al-Assad...
R.
- Gli attori regionali sembrano essere molto più propensi a una risoluzione anche
armata, come stanno dimostrando nel conflitto, e molto più intenzionati a far sì che
il regime di Assad cada o, nel caso di altri attori internazionali come l’Iran, che
il regime di Assad resti. E’ chiaro come le potenze e gli attori regionali sentano
molto più vicino questo conflitto e partecipino poi, in un modo o nell’altro, al conflitto
molto più di attori internazionali per i quali le ripercussioni del conflitto siriano,
per il momento, sono comunque abbastanza indirette.
D. - Prendiamo la posizione
degli Stati Uniti: dopo l’incontro con il premier britannico Cameron, il presidente
Obama ha ribadito come la linea rossa sia indicata dall’uso o meno di armi chimiche.
Queste sono dichiarazioni che sono in ballo ormai da settimane…
R. - Sì. La
famosa "linea rossa" che Obama aveva tracciato, oltre la quale - si diceva - non si
sarebbe potuto tollerare ancora l’azione repressiva del regime di Assad, non si capisce
neanche bene se sia stata superata realmente o no. Pochissimi giorni fa, settimane
fa, gli Stati Uniti hanno ufficialmente accusato il regime di Assad di aver effettivamente
fatto ricorso alle armi chimiche e molti analisti e osservatori hanno fatto notare
che forse non è stato un caso che soltanto un paio di giorni dopo sia stato compiuto
il famoso raid da parte di Israele all’interno della Siria - quasi un "messaggio",
per interposta persona, da parte degli Stati Uniti. Certo è che, nonostante tutto
e nonostante le minacce anche e gli avvertimenti fatti da Washington, sembra abbastanza
chiaro che in questo momento gli Stati Uniti non abbiano intenzione di intervenire
direttamente nel conflitto. Una delle motivazioni principali è quella di carattere
strategico-economico: negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti si sono già impegnati
su due fronti - quello iracheno e quello afghano - e le perdite umane, ma anche le
risorse in termini finanziari ed economici spese sono state tante, al punto tale che
gli Stati Uniti oggi non potrebbero permettersi il coinvolgimento in un altro conflitto.
La mediazione più efficace potrebbe essere soltanto quella - evidentemente - con la
Russia, che a livello internazionale è quella che è più di tutti è restia ad abbandonare
completamente il regime di Assad.
D. - E’ evidente, in ogni caso, la terribile
situazione di stallo in cui si è finiti, con un conteggio ormai neanche più quantificabile
di morti…
R. - Sì. Secondo cifre ufficiali dell’Onu, siamo ormai a più di 80
mila morti, secondo alcuni abbiamo addirittura superato i 100 mila. E’ chiaro che
non è neanche più tanto il numero, la quantità in sé il vero nodo della questione,
purtroppo. Il vero problema è questa situazione di stallo completo che si è venuta
a creare e che fatica a trovare una soluzione di qualsiasi tipo. Se la situazione
dovesse restare così, e quindi tutto dovesse essere deciso soltanto dalle forze in
campo, purtroppo credo che dovremmo aspettarci ancora molte migliaia di vittime e
chissà quanti mesi ancora di combattimenti, prima che l’una o l’altra parte prevalga
sull’altra.