2013-07-27 15:40:49

Il Papa ai vescovi della Gmg: uscire dalle parrocchie per annunciare Cristo ai lontani senza presunzioni


La sesta giornata del viaggio del Papa a Rio de Janeiro è iniziata con la Santa Messa con i vescovi della 28.ma Gmg e con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi nella Cattedrale di San Sebastiano. Un tempio, consacrato nel 1979, a forma di piramide Maya, in omaggio alle popolazioni del continente latinoamericano evangelizzate dai primi missionari. La base dell’edificio è quadrata e larga, la volta, alta 80 metri, circolare, con una vetrata centrale a forma di croce che attrae verso Cristo.

“Guardando questa cattedrale piena di Vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose venuti da tutto il mondo – ha esordito il Papa nella sua omelia - penso alle parole del Salmo della Messa di oggi: «Ti lodino i popoli, o Dio» (Sal 66). Sì, siamo qui per lodare il Signore, e lo facciamo riaffermando la nostra volontà di essere suoi strumenti affinché non solo alcuni popoli lodino Dio, ma tutti. Con la stessa parresia di Paolo e Barnaba vogliamo annunciare il Vangelo ai nostri giovani, perché incontrino Cristo e diventino costruttori di un mondo più fraterno. In questo senso, vorrei riflettere con voi su tre aspetti della nostra vocazione: chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro”.

Il Papa riflette sul primo aspetto, chiamati da Dio. “Credo che sia importante – ha detto – ravvivare sempre in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata in mezzo ai tanti impegni quotidiani: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», ci dice Gesù (Gv 15,16). E’ riandare alla sorgente della nostra chiamata. Per questo, un vescovo, un sacerdote, un consacrato, una consacrata, un seminarista, non può essere uno smemorato”, ma occorre che custodisca “la grazia di fare memoria della prima chiamata”. “Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù (cfr Mc 3,14), uniti a lui. Questo vivere e questo rimanere in Cristo in realtà segna tutto ciò che siamo e facciamo ed è precisamente la "vita in Cristo" ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16)”. Non è la creatività pastorale – ha poi aggiunto – “non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti – è vero aiutano – ma ciò che assicura i frutti è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, nel nostro incontro quotidiano con Lui presente nell'Eucaristia, la nostra vita di preghiera, il nostro momento di adorazione e anche nel riconoscerlo presente e abbracciarlo e nelle persone più bisognose. Il “rimanere” con Cristo non significa isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri. Voglio ricordare alcune parole della Beata Madre Teresa di Calcutta: «Dobbiamo essere molto orgogliose della nostra vocazione che ci dà l'opportunità di servire Cristo nei poveri. È nelle “favelas”, nei “cantegriles”, nelle “villas miseria”, che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare da loro come il sacerdote si reca all'altare, con gioia» (Mother Instructions, I, p. 80). Gesù, Buon Pastore, è il nostro vero tesoro, cerchiamo di fissare sempre più in Lui il nostro cuore (cfr Lc 12,34)”.

Poi c’è il secondo aspetto, chiamati ad annunciare il Vangelo. “Carissimi Vescovi e sacerdoti – ha proseguito - molti di voi, se non tutti, siete venuti per accompagnare i vostri giovani alla loro Giornata Mondiale. Anch’essi hanno ascoltato le parole del mandato di Gesù: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (cfr Mt 28,19). E’ nostro impegno di pastori aiutarli a far ardere nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù. Certo, molti di fronte a questo invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. Dio ci chiede di essere missionari dove siamo, dove Lui ci mette. Nella nostra patria? Dove Lui ci mette! Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici”. Aiutiamo i giovani – ha aggiunto il Papa – apriamo le orecchie alle loro domande, hanno bisogno di essere ascoltati nelle loro difficoltà; certo ci vuole la pazienza di ascoltare, ascoltarli nel confessionale, nella direzione spirituale, nell’accompagnamento. Occorre saper spendere tempo con loro. E ha proseguito: “Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani! San Paolo usa una espressione, che ha fatto diventare realtà nella sua vita, rivolgendosi ai suoi cristiani: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi» (Gal 4, 19). Anche noi facciamola diventare realtà nel nostro ministero! Aiutare i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio … è molto difficile … la gioia che ha dato suo Figlio Gesù per la nostra salvezza. Educhiamoli alla missione, ad uscire, ad andare …”. E ha continuato: “Gesù ha fatto così con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, nelle nostre istituzioni parrocchiali e diocesane quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Uscire, inviare. Non è semplicemente aprire la porta perché vengano e per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare!”. Spingiamoli ad uscire, è l’esortazione del Papa. “Con coraggio pensiamo alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia”: loro sono “gli invitati vip” …. andate a cercarli nei crocicchi delle strade.

Il Papa è quindi passato al terzo aspetto, chiamati a promuovere la cultura dell’incontro. “Purtroppo, in molti ambienti, in generale in questo umanesimo economicista che si è imposto nel mondo si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero sul bordo della strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. Cari Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, voi Seminaristi che vi preparate al ministero, abbiate il coraggio di andare controcorrente rispetto a questa cultura” efficientista e dello scarto. “Non rinunciamo a questo dono di Dio: l’unica famiglia dei suoi figli. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà … è una parola che stanno nascondendo in questa cultura, quasi fosse una parolaccia … la solidarietà e la fraternità, sono gli elementi che faranno la nostra civiltà veramente umana. Servitori della comunione e della cultura dell’incontro!”. Il Papa afferma che dovremmo essere “quasi ossessivi in questo senso. Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo ‘le nostre verità’”. Ma ciò che ci guida – ha proseguito - è “l'umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla (cfr Lc 24,13-35)”.

Così ha poi concluso l’omelia: siamo chiamati da Dio, “chiamati ad annunciare il Vangelo e a promuovere con gioia la cultura dell’incontro. La Vergine Maria è nostro modello. Nella sua vita ha dato «l’esempio di quell'affetto materno che dovrebbe ispirare tutti quelli che cooperano nella missione apostolica che ha la Chiesa di rigenerare gli uomini» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65). Le chiediamo che ci insegni a incontrare ogni giorno Gesù”, che “ci spinga ad incontrare tanti fratelli e sorelle che sono nelle periferie e hanno sete di Dio e non hanno nessuno che glielo annunci”; “che non ci butti fuori casa ma che ci spinga ad andare via di casa; è così che siamo discepoli del Signore”.








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