2013-12-18 07:58:56

Siria: strage in una scuola di Aleppo. Ancora sotto minaccia il villaggio cristiano di Kanaye. Il dramma dei profughi in Giordania


Non si arresta la violenza in Siria. Ad Aleppo bombardata una scuola: decine i bambini uccisi. Nei tre giorni di raid governativi sarebbero morte oltre 100 persone. Ancora sotto minaccia il villaggio cristiano di Kanaye, nell’area di Idlib. Intanto la diplomazia internazionale ha spostato nella cittadina elvetica di Montreux la conferenza di pace cosiddetta “Ginevra2”, prevista per il prossimo 22 gennaio. Marina Calculli:RealAudioMP3

E’ salito a oltre 100 morti il bilancio delle vittime del raid che l’aviazione di Bashar al-Assad ha condotto negli ultimi tre giorni ad Aleppo. Tra di essi si contano anche circa 34 bambini, come denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Un funzionario di Medici Senza Frontiere ha testimoniato che in almeno due occasioni le bombe sono state sganciate su una scuola e alla fermata dei trasporti pubblici. Cuore della frattura tra ribelli e filogovernativi, Aleppo è una delle città più martoriate di questo conflitto. Ma poco più a nord della città si combatte una guerra ben diversa. Qui, gruppi di islamisti tengono a fil di spada quasi tutta la regione di Idlib. Il loro obiettivo è imporre la legge islamica a tutta la popolazione, che prima del 2011 contava anche 60mila cristiani. Da pochi giorni in uno dei villaggi della zona, Kanaye, sono intrappolati circa 2000 cristiani. La condizione è convertirsi all’Islam o abbandonare le proprie case. Già l’anno scorso gli islamisti avevano conquistato il villaggio cristiano di Ghassanieh, costringendo tutti i suoi abitanti a fuggire.

Il conflitto, intanto, continua a produrre un’ondata di profughi senza precedenti. Tra i Paesi coinvolti sicuramente la Giordania; qui è stato creato il campo profughi di Zaatari, gestito dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. E proprio a Zaatari si trova il collega Matteo Marcelli, che al microfono di Salvatore Sabatino, racconta la situazione d’emergenza che vivono gli sfollati:RealAudioMP3

R. – La situazione rimane emergenziale. Certo, però, bisogna dire che l’impressione che ho io, guardandomi attorno, è certamente migliore qui, rispetto a qualche mese fa. Ovviamente, rispetto all’inverno scorso ci sono almeno la metà dei rifugiati. Questo, quindi, rende le cose più gestibili. Diciamo che Zaatari è pronto per l’inverno e diciamo che, dove c’erano tende, l’inverno scorso, ora ci sono per lo più caravan. Ma vedo anche negozi e una certa attività che, insomma, lascia sperare per il futuro.

D. – E’ questo momento, però, particolarmente delicato per questo campo profughi – che sorge, lo ricordiamo, nel deserto – a causa delle cattive condizioni meteo. E' nevicato moltissimo: questo quanto ha influito sulla qualità dia vita dei profughi?

R. – Certamente, le ultime manifestazioni da parte dei profughi sono legate proprio a questo. Il problema principale rimane il freddo. Hanno appena portato delle bombole per alimentare termosifoni a gas e questo ha, in qualche maniera, creato qualche agitazione. In sostanza, però, la situazione è abbastanza tranquilla. Certo, le condizioni non sono delle migliori, soprattutto per le famiglie che abitano nelle tende – e ce ne sono ancora molte – che sono ancora in attesa di un proprio container, che qui chiamano caravan.

D. – Si è fatto un gran parlare negli scorsi mesi anche di problemi legati alla sicurezza nel campo profughi di Zaatari...

R. – Quelli probabilmente rimarranno sempre. Si è parlato molto, quindi, di stupri, si è parlato molto di furti, ma certamente quelle sono dinamiche della popolazione interna che, ovviamente, l’Alto Commissariato non riesce a gestire e neanche le forze armate giordane sono in grado di tenere a freno. Sicuramente, dunque, è una situazione che purtroppo non può essere limitata o comunque può essere frenata ma non in maniera decisiva, proprio perché esistono delle dinamiche delle comunità, delle divisioni, delle gerarchie, che ovviamente sono molto più cogenti di quanto non siano le decisioni dell’Alto Commissariato e dei “camp manager” che sono qui.

D. – Nel contempo, però, c’è anche un grande senso di solidarietà tra la gente...

R. – Certo, sicuramente questo è alimentato molto dalle associazioni. Ma, ripeto, la situazione è migliorata e questo si può misurare dal fatto che Medici senza Frontiere non c’è più, la Caritas non c’è più. C’è, comunque, un clima, quindi, per quanto possibile, certamente migliore. Questo sì, è evidente.

D. – Questo campo profughi sorge in Giordania, un Paese che sta pagando delle conseguenze enormi della guerra in Siria. Tra l’altro, non sono stati stanziati fondi dal governo per gestire questa emergenza...

R. – No, i fondi sono, totalmente, quelli che vengono dall’Alto Commissariato Onu e dalle varie associazioni. Tra l’altro, parrebbe conclusa la costruzione di un altro campo, in un’altra zona, che è quella di Azraq. Un campo, costato 35 milioni, che sono tutti dell’Acnur. Certamente, la Giordania non è un Paese in grado di fornire aiuti da un punto di vista economico, però li ha già accolti, e qui dicono che sia già molto. Questa ovviamente è l’opinione. La maggior parte dei container vengono dall’Arabia Saudita e dal Kuwait e la maggior parte degli aiuti vengono da associazioni europee e nordamericane.

D. – Stando in Giordania, hai potuto evidentemente comprendere anche quelli che sono gli umori della popolazione locale, rispetto a questa ondata di profughi, che era imprevedibile...

R. – Questa è una situazione un po’ particolare, perché non ad Amman, ma andando verso il Sud, c’è gente che fa soldi sui rifugiati. Sapendo degli aiuti, molti locali affittano case – e per case intendiamo bilocali con il bagno fuori o senza bagno – per cifre che qui appaiono esorbitanti. Molte associazioni, infatti, danno soldi per pagare l’affitto a queste famiglie. C’è anche questo problema. Diciamo però che la popolazione giordana è molto favorevole e molto accogliente. Il problema è che, come dappertutto, c’è anche chi specula su questa gente.







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