2014-03-24 14:33:40

Sud Sudan: sete di potere dietro il conflitto interetnico. Forse già un milione i profughi


Nel cuore del Papa la sofferenza del popolo sud-sudanese che, conquistata dopo annose guerre civili l’indipendenza dal Sudan nel luglio 2011, è afflitto ora da un conflitto interetnico che sta lacerando il Paese. Da qui il messaggio inviato domenica scorsa da Papa Francesco per chiedere la fine delle violenze, arrivare alla pace e poter assicurare gli aiuti umanitari. Roberta Gisotti ha intervistato Elisabetta D’Agostino, appena rientrata da Juba in Italia, responsabile in Sud Sudan dell’Ong “Comitato Collaborazione Medica”, che opera a supporto delle sanità pubbliche nei Paesi africani.RealAudioMP3

A metà dicembre lo scoppio del conflitto tra le forze governative del presidente Kiir di etnia Dinka e quelle di entnia Nuer, fedeli all’ex vice-presidente Machar, estromesso nel luglio scorso. Il 23 gennaio la firma del cessate il fuoco, ma la tregua dura poco. Forse già un milione i profughi. Elisabetta D’Agostino, lei segue questo Paese da circa un anno: che cosa sta accadendo? Una guerra possiamo dire tra poveri, ma anche di brame di potere, come denuncia il Papa….

R. - Credo di sì. Nel Paese si è aperto un conflitto che sta opponendo le due maggiori etnie del Paese e che, evidentemente, non nasce da ragioni interne, o da scontri interni a queste due etnie, ma che in qualche modo le utilizza, le pilota per supportare gruppi di potere; i due rappresentanti politici che in questo momento si stanno scontrando, secondo me, sono al vertice di interessi diversi e godono, ovviamente, del supporto esterno di altre nazioni e di altri gruppi di potere economico.

D. - Quali sono i bisogni immediati, in questa situazione, della popolazione?

R. - Dallo scoppio del conflitto, in tutto il Paese ci siamo ritrovati con un numero altissimo di sfollati sia nella capitale, sia nelle regioni in cui si combatte ma soprattutto negli Stati confinanti. Queste persone hanno perso tutto e per quanto ci sia una forte presenza di Agenzie internazionali e di Ong, i bisogni restano altissimi e mancano le risorse. C’è da tenere presente che si tratta di un Paese totalmente privo anche di infrastrutture: non esistono strade asfaltate; stiamo andando poi verso la stagione delle piogge e questo comporta sia dal punto di vista logistico, sia dal punto di vista sanitario rischi giganteschi, perché vuol dire che nei prossimi mesi l’accessibilità sarà sempre più complicata e inoltre vuol dire che con le forti piogge ci sarà l’aumento del rischio di epidemie importanti. Quindi, ci sono bisogni enormi a cui far fronte e le risorse al momento non sono adeguate.

D. - Era prevedibile, era nell’aria lo scoppio di questo conflitto interetnico?

R. - Ci si aspettava che qualcosa succedesse già dal mese di luglio, quando il presidente Salva Kiir ha sciolto il governo e tolto gli incarichi innanzitutto al suo vice-presidente Riek Machar, sia ad altri esponenti politici importanti che venivano dall’etnia nuer. Con il passare del tempo forse si è abbassata la guardia troppo presto ed alla fine il conflitto è arrivato. Al momento, quello che preoccupa è che gli accordi non hanno dato risultati concreti e, di fatto, c’è un cessate il fuoco che fa più pensare ad un tempo e ad uno spazio per recuperare le forze e riarmarsi che ad un vero e proprio percorso di pace. Questo lascia tutti quanti noi in una situazione di allerta e di preoccupazione per il futuro.

Ultimo aggiornamento: 25 marzo







All the contents on this site are copyrighted ©.