2014-04-06 09:11:12

Il card. Ruini: la canonizzazione di Giovanni Paolo II dia coraggio e fiducia al mondo intero


Un grande uomo di preghiera, un santo dei nostri giorni. Così il card. Camillo Ruini ricorda Giovani Paolo II a tre settimane dalla canonizzazione insieme a Giovanni XXIII. Il porporato, lo ricordiamo, fu per 17 anni, in qualità di Vicario della diocesi di Roma, a stretto contatto con Papa Wojtyla. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Paolo Ondarza:RealAudioMP3

R. – E’ un evento singolarmente importante, non solo perché saranno due i Papi canonizzati – Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII – entrambi molto cari agli italiani e a tutti i cattolici del mondo e anche a tanti non cattolici; ma anche per il fatto che questa canonizzazione arriva molto rapidamente dopo la morte di Giovanni Paolo II: sono passati solo nove anni!

D. – Proprio a proposito della rapidità di questo processo di canonizzazione, tutti abbiamo vivi i ricordi di questo Papa. Parlare di lui significa parlare di “oggi”. Ricordiamo quello striscione “Santo subito!”. Lei tempo fa raccontò anche di come nel conclave, che precedette l’elezione di Benedetto XVI, ci fu un pronunciamento dei cardinali …

R. - … una raccolta di firme … Appena prima del conclave, il cardinale Tomko raccolse le firme dei cardinali – ne raccolse moltissime – e dopo l’elezione di Benedetto XVI le diede a me, che ero allora cardinale vicario, che le portai al nuovo Papa nella prima udienza che ebbi da lui.

D. – Proprio perché è un Papa dei nostri giorni, possiamo dire che il suo messaggio resta ancora attuale?

R. – E’ molto attuale: sia il suo messaggio di non avere paura di aprire a Cristo tutte le porte, della cultura, della politica, della vita personale anzitutto, dell’economia, sia anche è attuale la sua fiducia nel futuro del cristianesimo. Ricordiamo anche che il programma di evangelizzazione, così fortemente lanciato oggi da Papa Francesco, è nella sostanza lo stesso programma che aveva già ispirato tutta l’attività di Giovanni Paolo II.

D. – Giovanni Paolo II ha mostrato all’umanità davvero il volto umano di Dio, il volto di Cristo …

R. – Certamente. Giovanni Paolo II era molto vicino alla gente, e soprattutto poi nel periodo della sua malattia, la gente ha visto veramente in lui un santo. Io ricordo, visitando le parrocchie di Roma, come la gente si commuoveva incontrandolo.

D. – A proposito delle parrocchie: sono tante le testimonianze delle persone che hanno potuto vederlo, chi ha potuto stringergli la mano o parlare con lui, proprio perché Giovanni Paolo II cercava l’incontro, cercava il rapporto diretto con le persone. E lei di questo è stato testimone, in quanto è stato vicario della diocesi di Roma per 17 anni …

R. – Sì, ne sono testimone. All’inizio, quando stava bene di salute, girava dappertutto, incontrava tutti … Poi, quando le forze sono drammaticamente diminuite, quando il muoversi gli costava un grande dolore fisico, cercava lo stesso – anche trascinandosi – di avere un rapporto diretto con la gente, specialmente con gli ammalati.

D. – E c’è un episodio significativo, che lei ha raccontato, quando il cardinale Dziwisz, allora segretario di Giovanni Paolo II, disse al Papa ormai malato di stare tranquillo, che sarebbe andato lei, cardinale Ruini, a visitare le parrocchie al suo posto …

R. - … e il Papa rispose: “Ma il vescovo di Roma sono io!”. Queste parole che egli ha riferito, questa risposta data all’attuale cardinale Dziwisz, sono del gennaio 2005, quindi soltanto quattro mesi prima che morisse.

D. – Secondo lei, quale aspetto della santità di Giovanni Paolo II oggi si conosce di meno?

R. – Certamente, quello più profondo è la preghiera: ma lo conoscono tutti. Giovanni Paolo II, fin da ragazzo, era un uomo di profondissima preghiera, tant’è vero che sulla porta della sua camera, in seminario, a Cracovia, i suoi compagni hanno scritto: “Futuro santo”. Mi ha molto colpito il fatto che tutte le sue decisioni nella sua vita concreta erano prese alla luce del suo rapporto con Dio, e questo rapporto gli dava una fiducia enorme e un coraggio enorme.

D. – Il rapporto di Giovanni Paolo II con Roma …

R. – Ricordiamo sempre la frase programmatica che disse alla Messa di inizio del Pontificato: “Sono Papa della Chiesa universale perché sono Vescovo di Roma”. Vedeva la vocazione di Roma come vocazione universale e si divertiva a giocare sulla parola “Roma”: leggendola al contrario diventa “amor”, e diceva: “Questa è la missione di Roma: essere testimone dell’amore di Dio per il mondo intero”.

D. – Un Papa dei nostri giorni che diventa santo: sembra che ancora una volta Giovanni Paolo II ci dica: la santità non è una meta irraggiungibile; è una cosa alla portata di tutti, a cui siamo chiamati tutti …

R. – Certo: Giovanni Paolo II era profondamente convinto di quella che il Concilio Vaticano II ha definito la “universale chiamata alla santità”. Certamente, bisogna rispondere a questa chiamata, non basta la chiamata: ci vuole la risposta. E Giovanni Paolo II l’ha data con totale dedizione. Ma questo è il messaggio che ci viene da tutti i santi, in fondo, i quali non si ritengono persone eccezionali ma persone che cercano semplicemente di rispondere alla chiamata di Dio.

D. – Quindi, la santità è sicuramente una meta alta, difficile da raggiungere, ma Giovanni Paolo II con il suo eroico esempio di santità nella malattia, e non solo, ce l’ha indicata come meta a cui tutti sono chiamati …

R. – Sì, è una meta che ognuno di noi deve considerare possibile.

D. – Eminenza, c’è un pensiero particolare con cui desidera concludere questa nostra conversazione?

R. – Viviamo in tempi certamente difficili. Quell’invito alla fiducia, alla speranza, al coraggio di affrontare le difficoltà che ci viene da Giovanni Paolo II è molto attuale non solo sul piano religioso, ma anche sul piano civile e sociale. E vorrei quindi chiedere al Signore che l’occasione della canonizzazione sia una iniezione di fiducia per il nostro Paese e per il mondo intero.







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