Il card. Ruini: la canonizzazione di Giovanni Paolo II dia coraggio e fiducia al mondo
intero
Un grande uomo di preghiera, un santo dei nostri giorni. Così il card. Camillo
Ruini ricorda Giovani Paolo II a tre settimane dalla canonizzazione insieme a
Giovanni XXIII. Il porporato, lo ricordiamo, fu per 17 anni, in qualità di Vicario
della diocesi di Roma, a stretto contatto con Papa Wojtyla. Ascoltiamo la sua testimonianza
al microfono di Paolo Ondarza:
R. – E’ un evento
singolarmente importante, non solo perché saranno due i Papi canonizzati – Giovanni
Paolo II e Giovanni XXIII – entrambi molto cari agli italiani e a tutti i cattolici
del mondo e anche a tanti non cattolici; ma anche per il fatto che questa canonizzazione
arriva molto rapidamente dopo la morte di Giovanni Paolo II: sono passati solo nove
anni!
D. – Proprio a proposito della rapidità di questo processo di canonizzazione,
tutti abbiamo vivi i ricordi di questo Papa. Parlare di lui significa parlare di “oggi”.
Ricordiamo quello striscione “Santo subito!”. Lei tempo fa raccontò anche di come
nel conclave, che precedette l’elezione di Benedetto XVI, ci fu un pronunciamento
dei cardinali …
R. - … una raccolta di firme … Appena prima del conclave,
il cardinale Tomko raccolse le firme dei cardinali – ne raccolse moltissime – e dopo
l’elezione di Benedetto XVI le diede a me, che ero allora cardinale vicario, che le
portai al nuovo Papa nella prima udienza che ebbi da lui.
D. – Proprio perché
è un Papa dei nostri giorni, possiamo dire che il suo messaggio resta ancora attuale?
R.
– E’ molto attuale: sia il suo messaggio di non avere paura di aprire a Cristo tutte
le porte, della cultura, della politica, della vita personale anzitutto, dell’economia,
sia anche è attuale la sua fiducia nel futuro del cristianesimo. Ricordiamo anche
che il programma di evangelizzazione, così fortemente lanciato oggi da Papa Francesco,
è nella sostanza lo stesso programma che aveva già ispirato tutta l’attività di Giovanni
Paolo II.
D. – Giovanni Paolo II ha mostrato all’umanità davvero il volto umano
di Dio, il volto di Cristo …
R. – Certamente. Giovanni Paolo II era molto vicino
alla gente, e soprattutto poi nel periodo della sua malattia, la gente ha visto veramente
in lui un santo. Io ricordo, visitando le parrocchie di Roma, come la gente si commuoveva
incontrandolo.
D. – A proposito delle parrocchie: sono tante le testimonianze
delle persone che hanno potuto vederlo, chi ha potuto stringergli la mano o parlare
con lui, proprio perché Giovanni Paolo II cercava l’incontro, cercava il rapporto
diretto con le persone. E lei di questo è stato testimone, in quanto è stato vicario
della diocesi di Roma per 17 anni …
R. – Sì, ne sono testimone. All’inizio,
quando stava bene di salute, girava dappertutto, incontrava tutti … Poi, quando le
forze sono drammaticamente diminuite, quando il muoversi gli costava un grande dolore
fisico, cercava lo stesso – anche trascinandosi – di avere un rapporto diretto con
la gente, specialmente con gli ammalati.
D. – E c’è un episodio significativo,
che lei ha raccontato, quando il cardinale Dziwisz, allora segretario di Giovanni
Paolo II, disse al Papa ormai malato di stare tranquillo, che sarebbe andato lei,
cardinale Ruini, a visitare le parrocchie al suo posto …
R. - … e il Papa rispose:
“Ma il vescovo di Roma sono io!”. Queste parole che egli ha riferito, questa risposta
data all’attuale cardinale Dziwisz, sono del gennaio 2005, quindi soltanto quattro
mesi prima che morisse.
D. – Secondo lei, quale aspetto della santità di Giovanni
Paolo II oggi si conosce di meno?
R. – Certamente, quello più profondo è la
preghiera: ma lo conoscono tutti. Giovanni Paolo II, fin da ragazzo, era un uomo di
profondissima preghiera, tant’è vero che sulla porta della sua camera, in seminario,
a Cracovia, i suoi compagni hanno scritto: “Futuro santo”. Mi ha molto colpito il
fatto che tutte le sue decisioni nella sua vita concreta erano prese alla luce del
suo rapporto con Dio, e questo rapporto gli dava una fiducia enorme e un coraggio
enorme.
D. – Il rapporto di Giovanni Paolo II con Roma …
R. – Ricordiamo
sempre la frase programmatica che disse alla Messa di inizio del Pontificato: “Sono
Papa della Chiesa universale perché sono Vescovo di Roma”. Vedeva la vocazione di
Roma come vocazione universale e si divertiva a giocare sulla parola “Roma”: leggendola
al contrario diventa “amor”, e diceva: “Questa è la missione di Roma: essere testimone
dell’amore di Dio per il mondo intero”.
D. – Un Papa dei nostri giorni che
diventa santo: sembra che ancora una volta Giovanni Paolo II ci dica: la santità non
è una meta irraggiungibile; è una cosa alla portata di tutti, a cui siamo chiamati
tutti …
R. – Certo: Giovanni Paolo II era profondamente convinto di quella
che il Concilio Vaticano II ha definito la “universale chiamata alla santità”. Certamente,
bisogna rispondere a questa chiamata, non basta la chiamata: ci vuole la risposta.
E Giovanni Paolo II l’ha data con totale dedizione. Ma questo è il messaggio che ci
viene da tutti i santi, in fondo, i quali non si ritengono persone eccezionali ma
persone che cercano semplicemente di rispondere alla chiamata di Dio.
D. –
Quindi, la santità è sicuramente una meta alta, difficile da raggiungere, ma Giovanni
Paolo II con il suo eroico esempio di santità nella malattia, e non solo, ce l’ha
indicata come meta a cui tutti sono chiamati …
R. – Sì, è una meta che ognuno
di noi deve considerare possibile.
D. – Eminenza, c’è un pensiero particolare
con cui desidera concludere questa nostra conversazione?
R. – Viviamo in tempi
certamente difficili. Quell’invito alla fiducia, alla speranza, al coraggio di affrontare
le difficoltà che ci viene da Giovanni Paolo II è molto attuale non solo sul piano
religioso, ma anche sul piano civile e sociale. E vorrei quindi chiedere al Signore
che l’occasione della canonizzazione sia una iniezione di fiducia per il nostro Paese
e per il mondo intero.