2015-04-13 12:54:00

Ancora morti in Yemen, combattimenti a Aden


E' di almeno 28 morti il bilancio degli scontri e dei raid aerei della coalizione a guida saudita sullo Yemen nelle ultime 24 ore. Il centro del Paese è stato colpito da bombardamenti, mentre nella città di Aden si registrano violenti scontri tra ribelli Houthi e forze fedeli al Presidente Mansur Hadi. Sul fronte politico, intanto, il capo di Stato yemenita ha nominato l’ex primo ministro Khaled Bahah, vice Presidente dello Yemen. Un portavoce dei ribelli ha criticato la nomina aggiungendo che gli houthi non riconosceranno alcuna decisione presa dal nuovo vice Presidente. Della situazione precipitata in Yemen Fausta Speranza  ha parlato con il direttore della rivista Oriente Moderno, Claudio Lo Jacono:

R. – In un teatro di guerra aperta, come è lo Yemen, caratterizzato dall’intervento di forze regolari e contrastato da un misto di forze appena appena organizzate e molte di tipo guerrigliero, cioè un teatro di guerra asimmetrica, è ovvio che non ci sia una condotta delle azioni chiara e facilmente interpretabile.

D. – In Yemen si sta giocando una partita a scacchi di livello non locale?

R. – In questo caso sono proprio le politiche delle grande potenze regionali a scontrarsi. Non è tanto una guerra come quella che si sta conducendo in modo strano contro lo Stato Islamico, contro il cosiddetto Califfato. E’ un intervento che ripropone l’antichissimo tema del controllo dello Yemen, conteso dall’Arabia Saudita da quando è nato il Regno dell’Arabia Saudita; e dall’Iran, che ha sempre avuto nei confronti dello Yemen una sorta di interesse, che è addirittura precedente all’Islam. Tutto ciò si è accentuato per il fatto di avere - entrambi i Paesi - una maggioranza non sunnita, anche se sono due forme di sciismo diverse quella yemenita e quella iraniana.

D. – Ci sono poi a livello locale sicuramente delle situazioni socioeconomiche che hanno fatto maturare il tutto?

R. – Sì, certo! Queste noi le abbiamo viste negli anni, nei lunghi anni che hanno preceduto questo 2015. Un governo centrale, che è in mano ad una minoranza – quella sunnita – e una maggioranza del Paese che è stata espropriata del potere quando, tanti anni fa, all’epoca del presidente egiziano Nasser, si organizzò un colpo di Stato militare – filo-nasseriano  - per deporre l’imam zaidita dell’epoca. Ci fu una guerra civile che andò avanti a lungo, che non fu combattuta in modo aperto tra Egitto ed Arabia Saudita, ma di fatto erano loro gli attori importanti, e che si concluse poi con un accordo abbastanza spettacolare a margine della cerimonia del grande pellegrinaggio alla Mecca: ci fu un incontro tra Faishal, allora re dell’Arabia Saudita, e Gamal Abd el-Nasser, che era presidente dell’Egitto.

D. – I combattimenti, gli scontri sono proprio ad Aden: vogliamo ricordare la simbologia di questa città?

R. – Lo Yemen è il prodotto della fusione di due esperienze statali, che alla fine si sono poi unificate: la maggioranza del Paese è caratterizzato da montagne e da luoghi abbastanza aspri, mentre una parte dello Yemen si affaccia invece sull’importante Porto di Aden, sull’Oceano Indiano. Queste due zone si sono caratterizzate per due regimi profondamente diversi: l’uno è stato caratterizzato a lungo da un nazionalismo di tipo panarabo mentre l’altro, meridionale, è stato invece caratterizzato addirittura da una forza di marxismo. Queste due realtà non si sono mai unificate, come invece è accaduto a livello alto, superiore - oggi c’è un solo Yemen - sono rimaste profondamente divise ideologicamente: lo Yemen meridionale, oggi possiamo rappresentarlo in Aden, è quello che ha appoggiato maggiormente la minoranza sunnita, che poi è stata in qualche modo allontanata dal potere da un colpo di mano degli insorti houthi. Dobbiamo ricordare che questi insorti houthi rappresentano la maggioranza del Paese: sono zaiditi diversi dal punto di vista dell’approccio religioso all’Islam e costituiscono la maggioranza espropriata tanti anni fa dal potere. Non sono – voglio dire – dei golpisti: è una minoranza che, in qualche modo, reclama di ritornare a gestire in prima persona il proprio Paese.








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